Officinae Dicembre 2014

Voti augurali… – di Antonio Binni
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Bianco Natale – di L.Pruneti
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La riscossa dei Templari – di Aldo Alessandro Mola
“La civiltà è affidata alle élites; vi sono società umane di massa. Non c’è alcuna civiltà di massa”. Lo osservò il sociologo e storico belga Léo Moulin (Bruxelles, 1906-1996) nel saggio su Vita e governo degli Ordini religiosi (Milano, Ferro, 1965). Docente nella massonica Université Libre di Bruxelles e nella cattolica Università di Lovanio, Moulin apprezzava in pari grado regole e vita degli ordini ecclesiastici (in specie dei benedettini) e di quelli liberomuratori: convinzione che non era frutto di fascinazione ma di lunga osservazione storiografica. Le élites sono depositarie dei capisaldi delle civiltà e li trasmettono di generazione in generazione, da una all’altra età, anche per migrazione geografica. La loro vicenda fa tutt’uno con quella dei simboli. E’ il caso della famosa e discussa croce uncinata, lo ( non “la”) svastica, perlustrata da Thomas Wilson in Svastica (ed. Thule Italia, Borghetto Lodigiano, 1973). In quell’ambito va inquadrata la vicenda dei Templari: complessa, perché unitaria e al tempo stesso diversificata secondo epoche e paesi, sovrani ed ecclesiastici, poteri civili e giurisdizioni religiose e, infine, atteggiamenti degli altri Ordini: alcuni pronti a profittare della loro sventura, altri preoccupati che la loro catastrofe potesse preludere a quella di tutti i monaci-cavalieri. Poiché di quando in quando vengono avanzati dubbi sui modi nei quali il loro Ordire venne costretto a capitolare, in via preliminare un punto va ribadito al di là di ogni possibile confutazione: se è vero che in molte terre i Templari non vennero perseguitati o quanto meno, se inquisiti e arrestati, non furono sottoposti a processo, in Francia (e non lì solo) essi subirono le torture efferate che erano un complemento ordinario degli interrogatori. “Moralmente – scrisse Gaetano Salvemini a conclusione del lungo studio sui Templari – l’abolizione dell’Ordine (dei Templari) fu un delitto e come tale la nostra coscienza deve notarlo di eterna infamia”. Del tutto refrattario al fascino della Tradizione, egli però aggiunse: “Mminato da tutte le parti, costituito in forma di associazione internazionale indipendente dai singoli Stati, nei quali pur viveva, l’Ordine difficilmente avrebbe potuto sopravvivere alla rovina del medio evo e salvarsi dall’assalto degli stati moderni. Filippo il Bello, seguendo l’impulso della sua cupidigia, e Clemente V. secondando supinamente il re nella sua perfidia, furono gli inconsapevoli esecutori di una sentenza storica, alla quale prima o poi doveva soggiacere (…) Storicamente parlando, possiamo affermare che l’Ordine era destinato, comunque fosse, a sparire, perché diventava ogni giorno più incompatibile con tutto l’ambiente religioso e politico che dal secolo dodicesimo in poi era venuto formandosi in Francia e in Europa”. Quando indagò sui Templari Salvemini era ancora molto condizionato dal determinismo: la “storia” va come deve andare, ovvero se essa ha avuto corso vuol dire che ve ne erano le condizioni ineluttabili. Impregnato di razionalismo o fatalismo (due forme di fideismo) lo storico accozza gli eventi sino a spiegare perché l’accaduto non poteva non accadere: una filosofia che concatena Hegel ai suoi discepoli (inclusa la sinistra, sino a Karl Marx) e a Benedetto Croce, secondo il quale la storia non è giustiziera, non dice ciò che è bene e ciò che è male perché quanto è avvenuto riposa nel passato, ma giustificatrice, “spiega” sommando cause e concause. Per quanto faccia, però, non arriverà mai a dire perché si sia verificato proprio quell’evento tra la miriade di quanti possibili. La filosofia doveva ancora a Eraclito più che al principio di indeterminazione di Heisenberg. I Templari, quei Templari, vennero annientati. Ma il Templarismo sopravvisse, non solo per continuità tra i Cavalieri e gli Ordini nei quali quasi tutti confluirono, ma per la continuità della loro missio: i papi da Avignone tornarono più decisi di prima a svolgere il loro ruolo universale e la Francia tornò al rango di protagonista planetario quando assunse alzò la bandiera dei diritti dell’uomo e del cittadino, l’opposto di quanto si prefisse Filippo il Bello. Ma non esiste alcun nesso logico-cronologico tra i due “momenti”. Il cammino proseguì a zig-zag, per segmenti discontinui. Lì è il fascino suo, che infine si condensa in un unico supremo interrogativo: l’uomo. Nei riguardi dell’ancipite giudizio di Salvemini e di quanti rimangono convinti che la storia sia la civetta che si leva al tramonto, vale dunque il motto “Timeo Danaos et dona ferentes”. Se da un canto marchiò d’infamia la loro distruzione, egli asserì infatti che i Templari erano comunque “condannati”, non tanto da Filippo IV (accreditato quale campione del mitico nascente Stato moderno) e dal papa ma dalla “storia”: una condanna, questa, ancora più severa, definitiva, rispetto a quelle pronunziate su istigazione del re, nell’inerzia colpevole di un pontefice ridotto a cappellano. Non per caso, sulla base degli identici argomenti metodologici, sia Salvemini sia Croce, condannarono i massoni, ai loro occhi impasto di ideali (e/o oscure trame) sovrannazionali e di umanitarismo pacifistico. Con Eraclito ripetevano l’ “essere è guerra”, senza immaginare che il Novecento lo sarebbe stato appieno. E’ con i loro giudizi che anche oggi bisogna fare i conti, molto più che con quelli dei templarofagi e dei massonofagi, facilmente identificabili e circoscritti nel tempo.
Grazie e disgrazie del Tempio: da cospiratori a custodi della Sacra Sindone
Sino a pochi anni or sono i Templari erano un tema sconveniente, per almeno due motivi. In primo luogo l’Ordine venne sciolto da un papa (il francese Clemente V) e fu condannato da un re (Filippo IV di Francia). Secondo l’opinione corrente, o erano davvero colpevoli o se l’erano cercata: troppo ricchi, superbi, esclusivi. Quando poi Giovanni Paolo II (1978-2003) chiese scusa per il sangue sparso dai crociati, i Templari, che erano stati la punta di diamante della sicurezza dei pellegrini e della resistenza cristiana alla riconquista islamica della Terra Santa, scivolarono ancora di più nel buio di un passato da dimenticare (o da condannare nuovamente). Inoltre, dagli Anni Ottanta del secolo scorso qui e là venivano rialzate insegne Templari, accolte con sospetto anziché con entusiasmo, anche perché poco ci voleva a constatare che erano fantasiose, abusive, persino truffaldine: pretesto per spaccio di manti e diplomi anziché insegna di virtù tradizionali. Tuttavia poco a poco la revisione del caso dei Templari guadagnò terreno, con le opere di Alain Demurger, Peter Partner e altri, sino alle opere rigorose di Helen Nicholson (medievalista inglese in Italia tuttora pressoché sconosciuta). In Italia le acque vennero smosse dalle generose ricerche orchestrate da Bianca Capone (Quando in Italia c’erano i Templari). Dal 1981 si registrò una recrudescenza contro il Templarismo. La confusione tra iniziatismo, esoterismo (spesso confusi uno con l’altro), società segrete (di varia denominazione e vocazione) e persino culti misterici o addirittura satanici prese a pretesto il falso “scandalo” sintetizzato con il nome distintivo della loggia Propaganda massonica n.2 (o P2), regolarmente all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. Il Templarismo tornò improvvisamente imbarazzante. In Italia non se ne poteva né scrivere né parlare per non finire bersaglio di irrisioni. Il Dossier Templari, 1118-1990 di Maria Lo Mastro ( Roma, Edizioni Templari, pp.500) in primo tempo fu accolto con freddezza. Ebbe una seconda edizione, presentata in coincidenza con un omaggio a chi si era speso per riscoprire il tema: Michele Torre, già direttore della “Gazzetta del Popolo” poi di “Stapa Sera”, il giovane Antonio Padellaro e un terzo. I Templari poco a poco uscivano dalle tenebre? Renato Besana e Marcello Staglieno vi concorsero con un romanzo di successo, Il Crociato. Tra altri, all’inizio del Terzo Millennio Barbara Frale, “ufficiale dell’Archivio Segreto Vaticano”, pubblicò vari saggi per documentare sia l “innocenza” dei Cavalieri sia (molto discutibile) l’estraneità del papa alla loro condanna: L’ultima battaglia dei Templari (2001) e Il papato e il processo ai Templari (2003), editi da Viella; I Templari (2004) edito da il Mulino e subito tradotto in sei lingue (dunque una operazione preparata con cura). Non solo, in I Templari e la Sindone di Cristo, pubblicata nel 2009 da il Mulino a ridosso di una importante ostensione del Sacro Lino, visitata da papa Benedetto XVI, Frale elevò i Cavalieri a custodi originari della Sindone. Ne nacquero dispute e polemiche che forse torneranno in coincidenza con quella in programma a Torino nella primavera 2015: una disputa che non contrappone i credenti agli increduli (del tutto indifferenti a qualsiasi culto di qualsivoglia reliquia e quindi alle superstizioni, se non fanno male) ma i cattolici stessi: gli uni corrivi a condividere qualunque atto e detto dei pontefici nel corso di duemila anni, gli altri consci che il passato va contestualizzato, senza indulgere né a “scandali” né a opportunismi. La storia è quella che è. Va studiata. Documentare non significa né assolvere né condannare, perché la storiografia si limita a conoscere, a com-prendere (cioè a contenere). E’ il caso, appunto, dei Templari. Pareva fosse tutto chiaro sin da quando Fulvio Bramato scrisse la Storia dell’Ordine Templare in Italia (Atanor, 1990); e invece no. Come nel gioco dell’oca, la ricerca della verità torna spesso alla casella di partenza.
I Templari: un paradigma.
L’Italia è un immenso giacimento di reliquie templari. Perciò i Milites Christi meriterebbero una mappa aggiornata della loro diffusione nel Bel Paese. Sono un Mito al di sopra del tempo. Molti dicono che proprio oggi v’è bisogno di Cavalieri-monaci, di un Ordine iniziatico militare, per superare le crisi più difficili. Ma secondo altri, i Templari sono più o meno stregoni collusi col Baphomet. Chi furono davvero? E ve ne sono ancora? Domande destinate a rimanere senza risposte precise, anche perché la forza della Tradizione sta nella sua vaghezza, che non è vacuità ma sconfina nel sogno. La cronaca sfuma in leggenda e il mito diviene Storia. Epoca dopo epoca anche la favola (rosea o nera che sia all’origine) può divenire buona novella. E’ il caso dei Cavalieri che – come Giovanna d’Arco, la Pulcella, e altri “soggetti pericolosi” o scabrosi – attraversano i secoli come un fiume carsico. Tornare anche in Italia al centro dell’attenzione, ma libero dalle demonizzazioni d’antan, con l’inizio del Terzo Millennio per il Tempio era solo questione di…tempo. Chi aveva titolo per giudicarlo in terra e in cielo? Papa Clemente V, succubo del re di Francia, il 3 aprile 1312 con la bolla “Vox in excelso” abolì l’Ordine dei Templari su pressione di Filippo IV il Bello, lo stesso che aveva mandato Guglielmo di Nogaret a incarcerare Bonifacio VIII. Secondo la tradizione, Nogaret alzò la mano sul Pontefice: una profanazione applaudita dagli anticlericali fatui, deprecata da chiunque abbia senso del Sacro e dell’ordine e sa bene che chi semina vento raccoglie tempesta. Ieri, oggi. Sempre. Chi erano dunque i Templari? Perché la persecuzione? Perché la condanna? E quale fu la loro sorte dopo il rogo del Gran Maestro?
Poveri Cavalieri del Tempio
Avido dei loro beni, il 13 ottobre 1307 Filippo il Bello ne ordinò l’arresto con accuse infamanti. I Cavalieri si votavano alla morte in combattimento sul campo e sapevano che, alla peggio, sarebbero stati suppliziati dal nemico, impalati o scorticati vivi. Non immaginavano, invece, di finire torturati per mano dei cristiani stessi. Avevano creato la prima “banca euro-mediterranea”, familiarizzato l’uso della “cambiale” (già largamente praticata dalle comunità israelitiche e da mercanti e banchieri italiani, all’estero genericamente denominati “lombardi”). Erano la prima grande organizzazione transnazionale. Pensavano in europeo. Condividevano la “favola dei tre anelli”, secondo la quale ogni religione contiene verità e tutte possono coesistere, fatta propria da Boccaccio nel Decameron ma già largamente diffusa nel mondo islamico? Se alcuni suoi alti dignitari la condivisero, dai verbali degli interrogatori ai quali furono sottoposti emerge la certezza che la generalità dei Milites Templi aveva un’unica granitica fede: in Gesù Cristo, figlio di Dio. “Spesso gli uomini credono quello che vogliono”, scrisse Tacito: non la verità, ma il pregiudizio, le chiacchiere. Lo sanno bene i manipolatori dell’informazione: “al popolo, questo eterno fanciullone, bisogna proprio contarle grosse perché le beva più facilmente” il già citato osservò Gaetano Salvemini. Soprattutto bisogna contarle “all’ingrosso”.
I molti tempi della rinascita dei Templari:
…Lumi e Massoneria…
Per secoli i Templari, annientati, uscirono dalla storia. Gli altri Ordini cavalleresco-religiosi tacquero, sia perché ne accolsero alcuni e, ciò che più conta, furono beneficiari dei loro immensi beni, sia perché, dopo quel rogo, l’Europa cattolica non ebbe più in programma il riscatto della Terra Santa. La Peste Nera, la guerra dei Cento Anni (che riportò quasi all’anno zero la Francia di Filippo IV), l’eclissi del Sacro Romano Impero con la morte di Enrico (o Arrigo) VII, la lunga riconquista della Spagna dal dominio dei “Mori”, la polverizzazione dell’Italia, i quasi settant’anni di permanenza dei papi ad Avignone, succubi dei re di Francia, spesso di tragica pochezza, imposero altre priorità. A riproporne il mito fu la massoneria franco-tedesca nella seconda metà del Settecento. Ma la loro riscoperta avvenne in un contesto spirituale e culturale largamente innovato e dissodato da profondi mutamenti. Nel 1628 P. Dessubré pubblicò la Bibliographie de l’Ordre des Templiers (Parigi), nel 1655 seguito dall’ Historie du différend entre Boniface VIII et Philippe le Bel, roi de France di Pierre Dupuy. Erano gli anni di Port Royal, di una nuova lettura del sacrificio, dell’ “imitazione di Cristo”, di una spiritualità che conosceva le persecuzioni e sapeva cogliere nel passato i segni della radicale contrapposizione tra le fede e l’uso politico del potere ecclesiale. Un secolo dopo la feroce repressione degli ugonotti, il potere del sovrano cozzava contro la Fronda. I Templari non apparivano più come il Male Assoluto. Erano una pagina da riscoprire criticamente. La Gran Loggia di Londra, costituita il 24 giugno 1717, e le costituzioni della massoneria del 1723 ignorarono del tutto i Templari. Ma nel 1737, nel “discorso” mai pronunciato il sedicente cavaliere Michel (de) Ramsay asserì che gli antesignani dei massoni erano stati i cavalieri crociati. La nuova Muratoria ne riprendeva la missione: la “liberazione”, non tanto della Terra Santa dal dominio islamico, come luogo materiale, ma della spiritualità dall’ignoranza e dal pregiudizio, attraverso una lingua universale e l’enciclopedia delle scienze. La via dei Lumi era spianata. Trent’anni dopo fu istituito il Rito massonico della Stretta Osservanza Templare (in Italia, ma non solo per il “caso italiano”, ne scrisse a lungo Pericle Maruzzi in opere tuttora valide). I suoi membri intendevano attuare l’unione dei cristiani, divisi tra cattolici, evangelici (valdesi, calvinisti, ecc.) e riformati (luterani di varia osservanza), a tacere di anglicani, puritani, metodisti e altre denominazioni. V’era poi il problema dei problemi, la ricomposizione dello scisma tra la Chiesa di Roma e quella d’Oriente, che nel frattempo aveva meglio definito la sua identità: la autocefalia dei Patriarcati, sommersi dall’islamizzazione. La Stretta Osservanza conquistò rapidamente terreno nell’alta cultura anche per il discredito nel quale affondava il papato, sempre più chiuso in una dimensione romana, curiale, alla retroguardia rispetto al movimento dei Lumi. I papi ebbero anche il torto di non difendere la Compagnia di Gesù, investita da polemiche in massima parte pretestuose e interessate (fu il caso delle “riduzioni” del Paraguay, ma anche del largo “possesso” di negri in schiavitù in diverse città dell’America meridionale, a cominciare da Buenos Ayres ove i gesuiti avevano “a servizio” il 50% degli schiavi importativi). Pensare “in grande” risultò più facile nelle logge della Stretta Osservanza che nei presbitèri. Ma davvero i nuovi Equites avevano radici “diplomatiche” nei Templari? Era certificata la continuità storica tra gli uni e gli altri? Agitato per anni, in specie dall’inglese George Frederick Jhonson e dai tedeschi Karl Gotthelf von Hund e Samuel Rosa, il mito dilagò. Per scioglierlo venne indetto il Convento (cioè “adunata” o “accampamento”) di Wilhelmsbad. I migliori talenti si misero all’opera ed elaborarono “tesi” su origine e natura della massoneria. Tra questi vi fu Joseph de Maistre, che caracollava nella Stretta Osservanza col nome di Eques a Floribus. Scrisse il trattatello sulla Massoneria che ancora si legge con profitto, sia per capire la sua personalità, sia per cogliere quale convinzioni ne avessero molti tra i suoi adepti più fervidi. La ricerca delle radici templari della massoneria ebbe esito catastrofico. Non se ne cavò alcuna prova. Il neo-templarismo cadde nella polvere. Forse era solo parto di fantasia, e anche di scrocconi che vendevano titoli a chi amava collezionarne: erano i tempi di Giacomo Casanova, di Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro e di altri venturieri, intelligenti e spregiudicati, come Johann August Starck (inventore di un rito templare che mescolava frammenti di sapienza persiana, mesopotamica, egizia) e Friedrich Nicolai che rivendicò il Baphomet quale simbolo cristiano e asserì la continuità fra templarismo e gnosticismo. Negli stessi anni iniziò lo straordinario tiro alla fune tra chi accusava l’Ordine e chi lo esaltava: per motivi solo apparentemente contrapposti, in realtà convergenti sino a risultare identici. I papi ebbero alte priorità: lo scioglimento della Compagnia di Gesù (Militia Christi anch’essa, organizzata come internazionale dall’assetto militare, con alta vocazione al martirio per la fede e capacità di presidiare i territori evangelizzati anche attraverso la mimetica della simbologia : fu il caso delle presenze in Giappone e in Cina, prima della loro capitolazione: una vicenda dalle forti analogie con quella templare); il contrasto con Giuseppe II d’Asburgo, il conflitto con i giansenisti, la strenua in difesa dell’Inquisizione, travolta dal successo di opere storiografiche come quella, subito celebre, del gianseista Pietro Tamburini, che narrò come venissero estorte le confessioni nelle camere di tortura. Nell’ Essai sur les moeurs et l’esprit des nations (1756) a sostegno della memoria dei Templari scese in campo Voltaire, che della persecuzione e condanne loro inflitte fece un capitolo dell’oscurantismo. Jean-Marie Arouet non fu mai nemico del potere in quanto tale. Aveva da poco scritto Il secolo di Luigi XIV , che costituisce un implicito elogio del potere quale volano del progresso civile. Deprecava però – e lo fece sempre – quello volto a reprimere anziché a liberare. Perciò anche per lui la somma di papa e re nel complotto contro i i Templari (accusati non per caso di congiura e di eresia) risultò paradigmatico.
…Agostino Barruel: Templari e logge nascoste…
Appena sconfessato proprio dai massoni che l’avevano riesumato, il Templarismo conobbe una seconda stagione di straordinaria fortuna, non per forza propria ma per la leggenda che nuovamente lo investì. Nel 1797 Agostino Barruel, già novizio nella Compagnia di Gesù, testimone degli orrori dell’anticlericalismo ai tempi del Terrore e rifugiato in Gran Bretagna (terra madre della massoneria), pubblicò i Mémoires pour servir à l’historie du Jacobinisme. Vi spiegò che i massoni non erano affatto i crociati bensì l’anello di una lugubre catena: gli illuministi ateisti, i cromwelliani, i luterani, i catari, i bogomili e via risalendo siano all’origine del dualismo. Erano manichei. Sacerdoti delle Tenebre contro la Luce, della Morte contro la vita. Avevano l’obiettivo di consumare la vendetta dei Templari contro la regalità e contro il papato. La loro prima vittoria era sotto gli occhi di tutti: le teste ghigliottinate di Luigi XVI e di Maria Antonietta, la triste fine di “Luigi XVII”. Nel 1798 l’estromissione di papa Pio VI da Roma, ove venne proclamata la repubblica, dette ragione a Barruel, secondo il quale la massoneria era dominata dalle “arrières loges”, le logge segrete che preparavano eresie e rivoluzioni: 1517 Lutero, 1618 Guerra dei Trent’anni, 1717 nascita della Massoneria… Come noto, il colpo di stato del 18 brumaio chiuse dieci anni di rivoluzioni convulse e, con l’avvento del Consolato e, a seguire,. Dell’Impero di Napoleone I, volse in nuovo ordine la forza propulsiva scatenata dall’Ottantanove, dalla Convenzione repubblicana, dal Termidoro, dal Direttorio e persino dalla Congiura degli Uguali di Caio Gracco Babeuf: a sua volta società segreta destinata d alimentare un secolo di altre cospirazioni rivoluzionarie, fondate su iniziazioni e rituali, catechismi e settarismi. A fine Settecento, però, non fu solo Barruel ad arzigogolare sui misteri templari. Lo fece anche Gassicourt, convinto che i Milites erano una metastasi della rivoluzione permanente e che di sicuro avevano stretto intese con gli Assassini, seguaci del Vecchio della Montagna.
Napoleone neotemplare?
Nel 1799 Napoleone Bonaparte, reduce dalla culturalmente seducente e militarmente catastrofica spedizione in Egitto, grazie al sangue freddo di suo fratello Luciano, conquistò il potere con il colpo di Stato del 18 brumaio, primo passo verso l’edificazione dell’Impero piramidale: non un capriccio personale, ma una costruzione filosofica, maturata nel tempo, come attestano varie testimonianze (come ha documentato François Collaveri in Napoleone imperatore e massone, ed. Nardini, 1989), inclusa la Piramide da lui fatta erigere a Marengo, per ricordare la vittoria del giugno 1800 ora ripristinata dal Centro Studi Urbano Rattazzi di Alessandria. Neoclassico e neoegizio divennero i pilastri portanti non solo della cultura accademica ma anche del costume. Passaggio obbligato fu la rivalutazione dei Templari. Per affermare l’Ordine Nuovo Napoleone dovette abbattere il precedente sin dalle fondamenta. Il suo impero venne fondato sulla doppia consacrazione, a Notre-Dame in Parigi e nel Duomo di Milano. Imperatore e Re d’Italia, Bonaparte segnò il solco netto e definitivo tra la sua e le età precedenti con un crimine spettacolare: la cattura, del tutto illegale, del Duca d’Enghien, processato, condannato a morte e fucilato sulla base di accuse false o comunque non dimostrate. Da giovane generale aveva sparato ad alzo zero sui monarchici. Ora doveva completare l’Opera uccidendo un Borbone. Il secondo tempo della sconsacrazione/risacralizzazione fu la debellatio dello Stato pontificio e la deportazione di Pio VII nei confini dell’Impero, da Nizza a Savona, a evidenziare che Liguria e Piemonte ne erano parte integrante e perpetua. A chi gli rinfacciato quei crimini l’Imperatore rispose con la riesumazione dei Templari, un capo d’accusa permanente contro i precedessori di Ugo Capeto e di Pio VII. La forma più adatta fu la drammatizzazione: romanzi, novelle, cerimonie religiose e storiografia. A questa provvide Raynourd con i Monuments historiques relatifs à la comdamnation des Chevaliers du Temple (Parigi, 1813): il “brodo di cultura” di una seconda rinascita del Tempio destinata a durare due secoli. Il 28 marzo 1808 nella chiesa di San Paolo e san Luigi, a Parigi, Pietro Romano e il canonico di Notre-Dame di Coutances in Normandia, abate Clouet, officiarono una messa in memoria di Jacques de Molay. Il Gran Maestro fu “assolto” dalle imputazioni e l’Ordine venne solennemente riscattato dalle indebite accuse, presente uno schieramento di alti dignitari dell’Impero, vestiti con i paramenti dei Cavalieri. Il 10 giugno dell’anno seguente la bandiera del papa fu ammainata da Castel Sant’Angelo. Pio VII venne prelevato dal generale napoleonico Radet e tradotto nei confini dell’Impero. Due anni dopo Napoleone conferì al figlio, Francesco Carlo Napoleone, il titolo di Re di Roma. Agostino Barruel, rientrato in Francia dall’esilio, viveva nell’ombra, beneficato con una pensione dall’Imperatore. Dopotutto aveva concorso a ingigantire il mito del Templarismo.
Cavalieri Kadosh?
Nel 1801 a Charleston (Louisiana, all’epoca ancora francese: nel suo miope eurocentrismo Napoleone ebbe poi la pessima idea di venderla agli Stati Uniti d’America per far dispetto alla Gran Bretagna) il “conte” Augusto de Grasse-Tilly istituì il Rito scozzese antico e accettato in 33 gradi. Il 30° è il Cavaliere Kadosh, che pronuncia il giuramento “templare”: vendicare il Tempio abbattendo troni e altari. Da rigagnolo carsico il neotemplarismo divenne un fiume in piena. Come poi scrisse Henri Corbin, “la tragedia dell’Ordine storico del Tempio viene elevata al rango di parabola (…) tipizza l’intero dramma dell’uomo” e la continuità tra i Cavalieri dell’età di de Molay e quelli di nuova invenzione non richiede basi documentarie, “diplomatiche”: “queste tradizioni ci istruiscono su ciò che accade alla confluenza tra i due mari, là dove si compie realmente ogni trasmissione spirituale…” come insegnano anche Henri Guénon, Julius Evola, Mircea Eliade…
INIZIATO O NO, DANTE ALIGHIERI VENDICA IL TEMPIO
Qual era dunque la verità sul complotto contro i Templari?
Ne scrissero romanzieri come Walter Scott, inventori di riti neotemplari come Raymond-Fabré-Palaprat, Ledru (artefice di documenti apocrifi sulla trasmissione dei poteri della Gran Maestranza a John Mark Larmenius…), Ferdinand Chatel. Del resto l’Europa aveva sete di Templarismo. Ne fu interprete anche Gabriele Rossetti, al quale tanto dovette Giovanni Pascoli. Il Divino poeta già aveva detto tutto. Aferro caldo Dante Alighieri nella Divina Commedia chiamò a giudizio e condannò i persecutori del Tempio: il papa e il re. Nel canto XIX dell’ Inferno bollò Filippo IV con endecasillabi memorabili. Vi marchiò a fuoco “Simon Mago” e i simoniaci, papa Niccolo III e tutti i pontefici corrotti, meritevoli delle peggiori pene eterne, compreso il “pastor sanza legge”, Clemente V, “uomo cupido di moneta e simoniaco, che ogni beneficio di denari s’avea in sua corte”, come scrisse il cronista Villani. E sferzò il suo complice, che “Francia regge”. Nel Purgatorio rincarò la dose. Nel VII canto liquidò Filippo il Bello e tutta la sua famiglia: “Padre e suocero son del mal di Francia (cioè Filippo IV):/ sanno la vita sua viziata e lorda,/ e quindi viene il duol che lì si lancia…”. Nel XX tornò all’assalto: “Veggio il novo Pilato sì crudele,/ che ciò nol sazia, ma sanza decreto/portar nel Tempio le cupide vele./ O segnor mio, quando sarò io lieto/ a veder la vendetta che, nascosa,/fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?” Nel canto XXXII del Purgatorio Dante denunciò l’incesto tra il re e il papa, tra “la meretrice” (la Santa Sede) e il gigante (Filippo il Bello): “vidi di costa a lei dritto un gigante;/ e baciavansi insieme alcuna volta”. Sferzò “la puttana” (la Chiesa) e “la nova belva” (il re di Francia). Lo ripeté nel XXXIII e ultimo canto, ove auspicò che finisse la tresca tra la “fuia” (o foia) del pontefice e “quel gigante che con lei delinque”. Tutto fa ritenere che Dante abbia scritto quando ormai Clemente V sia Filippo IV erano morti. La sua era una profezia del passato. Però non si placava la sua ira nei confronti dello scempio ordito da chi aveva inscenato il processo per appropriarsi dei beni dei Templari. Asceso in Paradiso Dante non scordò affatto il “mal di Francia”. Quasi se lo fosse segnato in un calepino, tornò a martellarlo nel XIX canto, controcanto a quello dell’ Inferno. Lo collocò nella lordura dei sovrani dell’epoca, uno più inetto dell’altro, una visione della pochezza dell’ “Europa”: Alberto d’Asburgo, Edoardo II di Inghilterra, Robert Bruce di Scozia, Ferdinando IV di Castiglia, Carlo II d’Angiò (“ciotto”, cioè zoppo), re di Napoli, Federico II di Aragona re di Sicilia, Giacomo di Maiorca…, una sequela di nullità. Ma peggiore di tutti, come sempre, fu “il duol che sovra Senna/induce, falseggiando la moneta,/ quel che morrà di colpo di cotenna”: Filippo il Bello ucciso da un cinghiale (“colpo di cotenna”) mentre era a caccia. Per lui non v’era Paradiso. Era all’inferno con i papi suoi complici: Bonifacio VIII, Niccolò III.. Le invettive contro i distruttori del Tempio furono tra le ragioni principali del silenzio che per secoli circondò la Comedia. Anche “padre Dante” era scomodo. Nel 1846 Luigi Cibrario pubblicò la Descrizione storica degli Ordini cavallereschi, che precorse le regie patenti sulla libertà di stampa e l’elezione degli amministratori pubblici e la promulgazione dello Statuto albertino. Nel 1868 lo stesso Cibrario, massone,ne estrasse il grandioso volume Dei Tempieri, che precorse il conferimento dell’Ordine della Santissima Annunziata anche a chi non era né cattolico né nobile: una visione universale dell’Iniziazione.
Come Giosue Carducci 33…
Leggenda vuole che tra le fiamme Jacques de Molay abbia chiamato a sé il papa e il re, subito dopo morti tragicamente. Comunque sia, il suo rogo invita a riflettere sull’amministrazione della giustizia nei tempi moderni. Come insegnò Giosue Carducci, “Quando porge la man Cesare a Piero,/ da quella stretta sangue umano stilla:/ quando il bacio si dan Chiesa ed Impero/ un astro di martirio in ciel sfavilla”.
Templarismo oggi
V’è bisogno di Templari? Anzitutto v’è bisogno di conoscenza del passato, di cognizione del mondo d’oggi. Rasate o capellute, occorrono teste di uomini liberi, senza retorica, capaci di ideali, com’erano i Milites Christi: stole disadorne, calzari semplici, un cavallo per due, il Beaussant in una mano, la spada nell’altra e la divisa: “Non a me, Signore, ma a Te dài gloria”, anticipatrice di quella dei Gesuiti, “Ad maiorem Dei gloriam”. Animati dal sogno sintetizzato nel motto: “Ut unum sint”, che fu dei Templari prima che dei Gesuiti: pacificazione dei conflitti nella fratellanza universale. Di certo i Templari hanno lasciato in eredità tre lezioni fondamentali: il “lavoro” è collegiale; si fonda sulla fratellanza e reciproca fiducia (due guerrieri montano un solo cavallo solo se si fidano pienamente uno dell’altro); ogni Grande Opera ha una facciata verso l’esterno (essoterica), una all’interno (esoterica) e la struttura portante. Le facciate nel tempo si scrostano. Se ben costrutto il muro dura. Come fu del Tempio. Non solo pietra ma Idea.

Aldo A. Mola: Autore di Alla ricerca del Tempio perduto, in I personaggi della storia medievale, Milano, Marzorati, 1986, poi Templari e Templarismo. Nello spazio di un articolo è qui sintetizzata la ricerca in parte presentata al Convegno “La Spada e la Croce) organizzato dalla Gran Loggia d’Italia (Roma, 24 maggio 2014)

L’Elba francese di Pierre Joseph Briot – di I.Zolfino
[…]

Filadelfia – di A.Incoronato
[…]

Bakunin, massone a anarchico – di I.Lantos
[…]

Giardini Massonici – di J.M.Schivo
[…]

Incroci pericolosi – di A.Santini
[…]

Il profeta Salomone nell’esoterismo islamico – di G.Berrettoni
[…]

La vita del cosmo – di M.Ghione
[…]

Il Maresciallo d’Italia Giovanni Messe – di A.Zarcone
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La Comunione di Piazza del Gesù di fronte al Primo Conflitto mondiale – di L.Pruneti
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