I massoni italiani in esilio: dalla Santa Alleanza al fascismo

Da decenni anche in Italia l’antimassoneria e la persecuzione dei massoni sono al centro di studi autorevoli. I massoni italiani in esilio rimangono invece ai margini dell’attenzione (1). In via preliminare osserviamo che l’odio contro la massoneria non si tradusse sempre in persecuzione, anche se in molti casi la preparò e giustificò (che non significa: legittimò, né che essa fosse quindi “ben data e ben meritata”). L’antimassonismo in Italia divenne persecuzione effettiva solo quando riuscì a valersi del potere politico e dell’ordine giudiziario, cioè quando si valse del potere dello Stato. Talvolta, però, esso non conseguì l’obiettivo, cioè  l’annientamento delle organizzazioni massoniche. E’ il caso dell’Italia dal 1943-44 a oggi. In Italia l’avversione contro la massoneria oggi è molto diffusa. Essa prende a pretesto la Loggia Propaganda massonica n. 2 (P2), che trent’anni or sono venne additata quale Male Assoluto. Ancor oggi  alcuni partiti politici  e vari organi di informazione usano la P2 come strumento per coltivare l’odio ideologico e per suscitare emozioni nell’opinione pubblica. E’ il caso, tra  altri, del partito Italia dei Valori (fondato dall’ex magistrato Antonio Di Pietro), di Rifondazione comunista, del Partito dei comunisti italiani e di altri movimenti e gruppi (inclusa una parte del Partito democratico e di ex democristiani) che solitamente uniscono P2, fascismo, massoneria e “poteri forti” nelle loro accuse di attentato alla costituzione e di “regime”. Come ognuno può constatare, si tratta di affermazioni prive di rispondenza con la realtà, eppure ottengono molto ascolto, anche all’estero.

Ricorrentemente in Italia si sono registrate compagne d’opinione virulente contro la massoneria. Esse si sono talora accompagnate anche a leggi della repubblica, varate da parlamentari  e da consigli regionali poco informati di storia e attualità della Libera Muratoria (come evidenziano gli Atti delle rispettive assemblee). Tali leggi non hanno tuttavia comportato né lo scioglimento dell’Ordine né la chiusura delle logge. Paradossalmente, la mobilitazione dei nemici dichiarati della massoneria e di certi pubblici poteri deve tuttavia registrare la sua sconfitta non tanto perché esistono in Italia Istituzioni liberomuratorie accreditate sia in una parte dell’opinione pubblica sia nelle relazioni con organizzazioni massoniche estere, ma perché nel frattempo si è verificata in Italia la proliferazione di associazioni e organizzazioni sedicenti massoniche, nessuna delle quali pare abbia i requisiti di associazione segreta nel 1981 frettolosamente addebitata dal legislatore alla Loggia Propaganda massonica n. 2 , che sino al suo scioglimento, in verità, era registrata tra quelle attive e quotizzanti del Grande Oriente d’Italia e quindi “regolare”, come confermato dagli atti dell’assemblea annuale di tale organizzazione (2).

Nel quasi settant’anni dalla riorganizzazione della Libera Muratoria (1943-44), moltissimi italiani hanno subito gravi, iniqui e talora irreparabili danni perché massoni, anche se nessuna legge ha mai vietato l’esistenza del grande oriente o della gran loggia o di altre organizzazioni massoniche , a parte la già ricordata P2; ma non consta che alcun italiano abbia dovuto lasciare il Paese perché  tale,a parte Licio Gelli, che venne colpito da mandato internazionale di cattura e visse temporaneamente da contumace e poi latitante, ma non solo perché massone e venerabile della loggia P2 ma anche per altri capi d’’imputazione, dai quali via via è stato prosciolto (infatti ora è libero da speciali restrizioni).

In passato, invece, molti massoni furono costretti all’esilio. La casistica dell’Italia (un nome geografico sino al 17 marzo 1861 o più esattamente sino al 1918 o al 1924 se non si vuole dimenticare l’annessione di Fiume) è molto più complessa di quella di altri Paesi europei. Per occuparsene occorre quindi porre premesse di metodo e di merito, utili perché non esiste al momento alcuna opera sistematica sull’argomento.

Va dunque ricordato anzitutto che esistono due generi di esilio:

  1. l’abbandono (spontaneo o forzato) della propria Patria per un altro Paese (non sempre con la  perdita totale o parziale dei diritti  originari di cittadinanza, né dei beni);
  2. l’esclusione  dalla società (per scelta o imposta dalle autorità) senza lasciare il proprio Paese.

Esiste, cioè, un esilio vero e proprio di iniziativa di chi lo  sceglie volontariamente o lo subisce sotto pressione dei poteri statuali. Tale forma di allontanamento (spesso espatrio in violazione delle norme, fuga precipitosa; Ma esiste anche la decisione dell’esule di trasferirsi e  permanere in uno Stato estero raggiunto in forme del tutto libere e legali. Questa casistica dunque è assai complessa e diversificata. Esemplificarla comporterebbe un elenco di biografie. Essa  riguarda prevalentemente una minoranza di persone colte, militanti politici, molto spesso in ottime o buone condizioni sociali ed economiche, con padronanza di lingue e possibilità di esercizio della propria professione originaria o di altra all’estero, quasi sempre con la tutela da parte di organizzazioni politiche, religiose, sindacali o associazioni culturali del Paese d’asilo o più correttamente “ospite”. Tale modalità di esilio si concreta nell’abbandono del Paese di origine ma non nell’eclissi civile e sociale della persona che sceglie o è indotta o costretta a rifugiarsi o a trattenersi all’estero. Anzi, in molti caso l’esule acquista maggior prestigio e fortune proprio dalla sua condizione  di  perseguitato.

L’Italia offre casi di “esuli” molto curiosi. Basti il caso di Carlo Sforza, che dopo l’avvento del governo Mussolini (31 ottobre 1922) si dimise da ambasciatore a Parigi non per motivi politici ma “personali”. Ex ministro degli Esteri e senatore, Sforza visse alcuni anni tra l’Italia e altri Paesi, poi si visse tra Belgio e Stati Uniti. Fece sempre parte del Senato, rientrò in Italia nel 1944, divenne Alto Commissario per l’epurazione, combatté la monarchia, divenne nuovamente ministro degli Esteri e venne descritto come un “esule”. In realtà non era mai stato “in esilio”; semplicemente era vissuto altrove, senza mai perdere alcun diritto né politico né civile. Il suo è uno dei tantissimi casi di “vittime del fascismo” che in realtà durante il governo Mussolini semplicemente vissero altrove  per loro liberissima scelta.

Molto più diffusa è la seconda forma di esilio: la rinuncia alla professione delle proprie idee come prezzo che si paga per non lasciare il Paese.

Anche questa forma di esilio si sostanzia in due diversi tipi:

  1. chi viene emarginato dalla società ma rimane fedele alle scelte originarie o ne conserva almeno il ricordo in attesa di poterle riaffermare o almeno trasmettere a chi ne continuerà il cammino;
  2. chi conserva posizioni civili e sociali a prezzo dell’oblio pubblico del proprio passato e quindi della sua accurata cancellazione (pentimento dinnanzi ai poteri costituiti, pubblico o privato rinnegamento della “colpa”…). In molti casi il prezzo della sopravvivenza  (e/o permanenza in posizioni privilegiate, di comando e persino di ulteriori progressi nella gerarchia dei poteri) si accompagna alla assunzione (pubblica e/o privata: con infiniti casi di doppiezza e ripetuti mutamenti di casacca) di posizioni opposte a quelle precedentemente professate, inclusa la corresponsabilità nella persecuzione dei  “confratelli” (valgano d’esempio i casi di Antonio Salvotti, il massone che divenne abilissimo e ammirato inquirente nei più famosi processi a carico di carbonari e massoni dopo la Restaurazione del 1814-15, e di Roberto Farinacci, il “più fascista”, iniziato alla “Vedetta d’Italia”, all’obbedienza del Grande Oriente, poi ras di Cremona e promotore di acri campagne d’opinione contro massoni ed ebrei, benché avesse una segretaria ebrea e vari collaboratori massoni in sonno, incluso il figlio di padre Giovanni Pantaleo, il frate che nel 1860 aveva scelto di seguire Giuseppe Garibaldi nell’impresa dei Mille…). La storia, insomma, ha più fantasia dei doverosi tentativi di inquadrare la realtà in rigidi schemi interpretativi.

Nel corso del tempo le varie forme di esilio vennero vissute dai massoni italiani con modalità molto differenziate secondo luoghi ed epoche.

Il loro caso è difficile  da spiegare a chi dimentichi che, a differenza di Gran Bretagna, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo e persino stati sorti sotto tutela estera (come il Belgio e la Grecia) sino al 1861-70 l’Italia fu un mosaico di staterelli, sicché per esulare o essere costretti a espatriare bastava varcare un fiume (come scrive Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi, quando racconta che   per lasciare il ducato di Milano, all’epoca sotto dominio spagnolo, a Renzo bastò farsi  traghettare sull’Adda e raggiungere la Repubblica di Venezia, che iniziava con Bergamo), svalicare una catena di monti o di colli, salpare da un porto del Regno di Napoli (poi delle Due Sicilie) verso la Toscana o la Liguria  o viceversa. Al di fuori dell’Italia basta poi raggiungere Malta o rifugiarsi nella famose Repubblica di San Marino.

In quel mondo così frammentato la libertà era a portata di mano più di quanto accadde nel Novecento, perché nella maggior parte dei casi gli esuli circolarono in Stati italofoni, mentre nel secolo Ventesimo la scelta dell’espatrio volle anche dire l’adozione di una o più lingue straniere.

Quando verrà scritta con criteri scientifici, la storia dei massoni italiani in esilio comporterà dunque l’esame di scenari molto diversificati nel tempo.

In sintesi possiamo accennarne almeno i principali.

  1. Nel  Settecento, per effetto delle scomuniche pontificie (Clemente XII e Benedetto XIV, quando il papa era anche sovrano e varava leggi penali) e dei divieti e condanne emanati da parte di poteri statuali (tutti gli Stati dell’epoca, nessuno escluso, malgrado la leggenda di maggiore o minore tolleranza di questo o quel principe, dell’una o altra repubblica: da Venezia a Genova, dal regno di Napoli al Granducato  di Toscana al microducato di Modena…) i massoni furono costretti a trasferirsi dall’uno all’altro dei molti Stati esistenti nello spazio geografico detto in Italia o in terre straniere, sulla traccia di quanto avevano dovuto fare nel Cinquecento i pochi eretici italiano (Biandrate, Socini…) e, in una breve stagione, i Valdesi in attesa del loro “glorioso ritorno” imposto dalla Gran Bretagna al  duca Vittorio Amedeo II.
  2. Durante la riscossa austro-russa del 1798-1800, in risposta all’invasione francese (napoleonica) del 1796-97 e alla nascita delle Repubbliche del biennio 1797-98. In questa fase pochi passarono all’estero. Fu il caso di Vincenzo Monti, poi autore dei celebri versi “Bell’Italia, amate sponde/ pur vi torno a riveder./ Trema in petto e si confonde/ l’alma oppressa dal piacer…”: un piacere così appagante che dopo la Restaurazione Monti sposò il “Ritorno di Astrea” , dimenticò grembiule e volta stellata e se ne stette quieto. Va però evidenziato che questi “esuli” non lasciarono l’Italia perché fossero massoni , bensì perché si erano messi al servizio dei francesi, vale a dire erano entrati in una “guerra civile” nel cui ambito le logge non ebbero alcun ruolo in quanto espressione della Libera Muratoria ma solo come maschere di circoli rivoluzionari.A questo riguardo risultano fuorvianti le affermazioni di alcuni autori (per es. Giuseppe Giarrizzo, Gian Mario Cazzaniga, Charles Porset) secondo i quali vi sarebbe continuità e persino identità tra logge e clubs rivoluzionari (giacobini o giacobineggianti): un’affermazione che porterebbe ad accomunare Nelson e Robespierre. Affermare che per valutare il ruolo storico delle logge occorre prescindere dalla formale appartenenza all’organizzazione  e apprezzare i “modi di essere e di vivere la religio massonica in obbedienze che pur divergono in molti casi dalle osservanze ufficiali e tuttavia serbano chiare, ora nella struttura associativa, ora nell’impianto ideologico, le proprie ascendenze muratorie” (come scrive Santi Fedele, citando Griarrizzo, “Hiram”,2009, n.4, p.99) significa fare di tutta un’erba un fascio e creare una confusione che è all’opposto non solo del metodo storico ma anche dell’elementare buon senso e comporta comunque la rinuncia ad accertare la verità dei fatti e di elevare a maestri di storiografia Lefranc, Barruel e altri loro emuli, a conferma che la madre dei complottisti è sempre gravida.       
  3. Dopo la Restaurazione (1814) e il fallimento dei moti liberali costituzionali (1821, 1831, 1834…). Fu in quegli anni che – scrisse il grande Giosuè Carducci – lasciando Milano per Londra Ugo Foscolo dette all’Italia una nuova istituzione, l’esilio (un esempio per tanti altri patrioti, massoni e non massoni, come Giuseppe Mazzini, che nel 1831 tra relegazione temporanea in un borgo ligure e l’esilio scelse quest’ultimo). Va però detto che sia Foscolo (la cui affiliazione alla loggia di Brescia non incise affatto sulla sua produzione poetica e letteraria) dissero e scrissero tutto il male possibile della massoneria. Essi non furono quindi “esuli massoni”, né “massoni in esilio”. Furono esuli per altre ragioni.
  4. Dopo il fallimento della prima guerra d’Indipendenza, la sconfessione delle costituzioni da parte dei sovrani che le avevano promulgate (con l’eccezione di Carlo Alberto di Savoia nel Regno di Sardegna) e il crollo  della Repubblica Romana (1848-1849).
  5. Dall’avvento del governo Mussolini  e dall’autoscioglimento forzato delle organizzazioni massoniche (1925) alla fine della  guerra (1945).

Il terreno sul quale lo storico è chiamato a riflettere non è però solo l’opzione dell’esilio da parte dei massoni, ma anche la sorte dei confratelli che, per scelta o necessità, rimasero dov’erano e di adattarono. Per essere credibile la storia non può circoscriversi a enfatizzare le eccezioni dimenticando i movimenti profondi e le “masse”, Anche se i massoni in Italia non furono mai “massa” (come ci ricordano le importanti e meritorie ricerche di Luigi Pruneti e di Marcello Millimaggi sul repertorio  degli affiliati alla Gran Loggia d’Italia dal 1916 al 1925), il dato fondamentale sul quale occorre insistere è evidente: i massoni italiani esuli all’estero tra il 1926 e il 1943 furono sparuta minoranza rispetto all’insieme delle Comunità liberomuratòrie italiane. Sulla base di alcune carte forse appositamente  manipolate dai loro autori (Alessandro Tedeschi e Giuseppe Leti) Santi Fedele si è spinto ad asserire che gli iniziati alla leggendaria “Propaganda Massonica” all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia dell’esilio (non in esilio) erano appena un paio. Molti altri documenti ci offrono una realtà meno sconsolante di quella da lui descritta ma non completamente diversa. A differenza di quanto a lungo è stato asserito da autori apologeti dell’onnipotenza della massoneria, non abbiamo alcuna prova che i massoni dell’esilio abbiano organizzato e causato la caduta di Mussolini: questa è una favola raccontata dai servizi della Repubblica sociale italiana, allestita dal “duce” sotto il controllo di Hitler, cioè fa parte della guerra che nel 1943-45 venne combattuta nell’ambito della RSI tra correnti moderate e tendenze estremistiche (capitanate dal massonofobo visionario Giovanni Preziosi, lo spretato che nel 1921 aveva pubblicato i Protocolli dei Savi Anziani di Sion).

Ecco dunque perché occorre privilegiare l’altra e fondamentale modalità di esilio: la vita condotta dai massoni in patria, armati della necessaria antica capacità di sopravvivenza in condizioni estreme. Non sempre si trattò di doppiezza e raramente di “doppia lealtà” (incenso al regime, omaggio alle Colonne) proprio perché dal 1929-31 lo Stato deragliò verso un autoritarismo che vestì i panni di governo personale (non diciamo cesarismo per non offendere la memoria di Caio Giulio Cesare) e negli ultimi anni di ottusa dittatura di un partito unico senza vere basi culturali, di una filosofia della storia, vagante da un estremo all’altro, sempre più in balia di alleanze ideologiche e militari sempre più pericolose e infine catastrofiche.

In quegli anni accadde di tutto. Si è insistito molto sull’itinerario di Vittorio Raoul Palermi.  Ma non dimentichiamo che Ulisse Bacci chiuse con tutti i sacramenti di Santa Madre Chiesa una vita di anticlericale, mangiapreti militante e direttore della “Rivista della Massoneria Italiana”, poi “rivista massonica”.

Allo scioglimento, nel 1925, le organizzazioni massoniche italiane contavano circa 50.000 affiliati (quasi il doppio di oggi). Quanti fratelli andarono all’estero proprio perché massoni? Dieci? Cinquanta? Il conto non è mai stato fatto. Nella quasi totalità, gli esuli politici furono tali perché militanti di partiti e di sindacati antifascisti e repubblicani, non perché massoni. Se poi nelle logge si discuteva di lotta politica e di religione vuol dire che si trattava di una realtà diversa rispetto alla Libera Muratoria, che ha le sue regole.

Quanti esuli (politici e magari massoni) rientrarono dal 1936, cioè dalla Guerra d’Eriopia ( o “di Abissinia”?) Bastino d’esempio Arturo Labriola, già gran maestro del grande oriente dell’esilio, che patteggiò personalmente con Mussolini (e che recentemente è stato incluso con tutti gli onori  nella serie dei grandi maestri “ufficiali” del grande oriente stesso), e il divertentissimo Alberto Giannini, autore di Le memorie di un fesso, nelle quali pubblica pagine memorabili sui massoni in esilio, incluso Leti.

In conclusione  una considerazione s’impone. La storia della massoneria in Italia sarà meno incompleta quando si darà conto del complesso rapporto tra massoni ed esilio in una terra ove la Libera Muratoria venne talvolta  “tollerata” dai pubblici poteri, ma mai veramente accettata né “riconosciuta”:  quasi tre secoli tra sopportazione, persecuzione, esilio e forzata autocensura.  Nel frattempo sarebbe bene astenersi dall’attribuire all’Ordine massonico ciò che gli fu estraneo: il giacobinismo, il rivoluzionarismo, il settarismo politico e tanti altri meriti (o demeriti) anche se gli vennero affibbiati da Benedetto Croce, dimentico di aver a lungo sparato a palle incatenate contro  l’ umanitarismo massonico e di aver tenuto in alta considerazione Francesco Gaeta, autore di un celebre scartafaccio antimassonico poi usato come arma contundente contro i massoni quando ormai il male era fatto.

Il panorama dell’esilio dei massoni deve però comprendere un ultimo importante aspetto. La massoneria costituisce un “mondo”. Chi entra a farne parte (associato, adepto,“iniziato”) lascia la propria terra e approda in una patria nuova: Non per caso il ricevimento dell’apprendista prevede un passaggio, che può essere più o meno complesso, secondo i diversi rituali. Quasi sempre essi prevedono il superamento di prove. Vi è un al di qua e un al di là, un transito (oltre un fiume, oltre un fuoco…). Il massone lascia la propria ed entra a far parte di una nuova Famiglia, entra in una comunione i cui componenti si appellano reciprocamente fratelli. Il rapporto tra il massone e l’Ordine è definitivo: semel abbas, semper abbas. Esso, però, può subire mutamenti che interessano la storia dei massoni “in esilio”. Tali cambiamenti sono infatti di tre tipi. In primo luogo vi è l’assonnamento, cioè  la cessazione della frequentazione della loggia su richiesta dell’affiliato, secondo le regole e previa accettazione della richiesta da parte dei poteri massonici (la loggia e la struttura di cui essa fa parte). Il massone in sonno non perde la qualità di affiliato, non viene sciolto dal giuramento (o promessa) pronunciato all’accettazione, né dai doveri conseguenti, sotto le pene previste al momento del suo ingresso in loggia.  Il sonno è una condizione di durata indefinita ma provvisoria: può essere interrotto dal risveglio e dal ritorno alla vita massonica attiva. Una seconda forma di  mutamento dello status del massone nei confronti dell’Ordine è quello derivante dalla sospensione dei lavori della loggia di appartenenza. In un Paese quale l’Italia, nel quale, come si è veduto, le organizzazioni massoniche sono state ripetutamente vietate sotto pene durissime, la sospensione delle logge è stata una misura cautelare necessaria decisa dai poteri supremi dinnanzi al legislazione speciale. Fu il caso, già ricordato, del 1925. Anche in tempi recenti, nella primavera del 1981, il gran maestro del grande oriente d’Italia, Lino Battelli, deliberò la sospensione dei lavori di loggia in risposta alla campagna d’opinione antimassonica e a provvedimenti giudiziari ai danni della libertà dell’Ordine. L’interruzione fu di breve durata, ma molto significativa. Gli affiliati si trovarono temporaneamente in una sorta di limbo massonico: vincolati all’obbedienza ma nell’impossibilità di radunarsi, ricevere informazioni, confrontarsi ed esprimersi sul bene dell’Ordine:  doppiamente “esuli in patria”, sia perché ai margini della vita pubblica, sia perché privati della propria pienezza di massoni attivi. Tale condizione in molti casi venne vissuta come frustrazione e condusse a meditare sulla rispondenza tra le regole dell’Ordine e la legge comune. La brevità della sospensione  dei lavori fece però superare rapidamente il disagio. In altri casi specifici il congelamento della vita delle logge, deliberato dai poteri competenti, ha suscitato reazioni più complesse, incluso il ricorso al magistrato ordinario.

Il terzo tipo di cambiamento del rapporto tra l’affiliato e la massoneria è l’espulsione dell’Ordine: radiazione comportante pene interne, talvolta con riflessi all’esterno, sulla condizione del cittadino. Fu il caso di massoni i cui nomi vennero resi pubblici all’atto della radiazione. Tra i casi più famosi vi è quello dei membri della loggia Felsinea di Bologna, demolita da Luigi Frapolli, facente funzione di gran maestro. Il piedilista della loggia venne pubblicato nel “Bollettino” del grande oriente: una grave violazione della segretezza che, per essere davvero tale, deve essere mutua, vale a dire vincolante anche per la gran maestranza. Quella vicenda sarebbe forse caduta nell’oblio, se non fosse per la qualità degli appartenenti alla loggia: tutti docenti universitari  militari, destinati a grande fama, come il matematico Luigi Cremona e lo scrittore, poeta e celebre docente dell’Università di Bologna, Giosue Carducci.

Anche se non viene affatto sciolto dai vincoli contratti alla sua accettazione, a cominciare dal segreto sui lavori di loggia, ed è tenuto a consegnare a chi di dovere la documentazione sul suo rapporto con la loggia e l’Ordine, il massone radiato si trova dunque nella condizione  dell’esule: escluso dalla Patria liberomuratoria. Che cosa ne è di lui? Dei suoi sogni? Delle sue speranze? Del suo massonismo?

Sinora è stato scritto poco su questa forma di “esilio” dei massoni. Eppure si tratta di una realtà vastissima, che lo storico non può certo ignorare. (*)

                                                                                                            Aldo A. Mola

(*) Esprimo profonda gratitudine a José Antonio Ferrer Benimeli che dal 1980 mi ha spinto molte volte ad approfondire la metodologia della storia della massoneria. La mia Storia della massoneria italiana è del 1976. L’ho aggiornata varie volte (1992, 1994; la VI edizione è del 2008). Se e quando ne scriverò una del tutto nuova, lo dovrò in tanta parte anche a lui.

Note:

(1) L’”esilio” non figura come lemma significativo nella Bibliografia della Massoneria italiana di Enrico Simoni (Foggia, Bastogi, 1992). Tra le poche opere sull’argomento ricordo Aldo A. Mola, Il Grande Oriente d’Italia dell’esilio, 1930-1938, pref. di Armando Corona, Roma, Erasmo 1983; Santi Fedele, La massoneria italiana nell’esilio e nella clandestinità, 1927-1939, Milano, Angerli, 2005: Id., Alessandro Tedeschi, Gran maestro dell’esilio, Bologna, Il Mulino, 2008.

(2) Aldo A. Mola, Licio Gelli e la P2 tra cronaca e storia, Foggia, Bastogi,2008 (2^ ed. 2009).

 

Aldo A. Mola