Pensalibero.it: Otto milioni di grembiulini? La massoneria tra “sospetto” e accusa di “complotto”

03/12/2018

Il Settecento: età d’oro della Ragione

La “massoneria” in Italia è nuovamente sotto attacco. Malgrado quattro presidenti del Consiglio, vari premi Nobel, il mèntore della Carta costituzionale, Meuccio Ruini, e tante altre glorie, nel Bel Paese non è mai stata in odore di santità. Anzitutto per la “scomunica” comminatale per ragioni politiche e senza spiegazioni dottrinali da papa Clemente XII sin dal 28 aprile 1738. Questa, però, fu un’aggravante solo negli Stati che le conferirono efficacia penale. La condanna pontificia ebbe peso modesto in quelli prevalentemente evangelici e riformati (come la Prussia nel massone Federico II il Grande) e fu accolta con indifferenza Oltralpe sia da sovrani “cristianissimi” (come i Borbone di Francia, ove non venne mai “registrata”), sia da quelli “cattolicissimi” (come gli Asburgo d’Austria: Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa, era massone; suo figlio Giuseppe II legittimò la rete di logge nell’ambito del Sacro romano impero: perciò ne fece parte serenamente anche Mozart). In quel secolo d’oro del Raziocinio anche in molti Stati italiani le logge vissero con discrezione in prossimità del Potere: fattive, mai servili. Fu il caso del regno di Sardegna e, a fasi alterne, di quello di Napoli, ove aristocratici, militari, scienziati e qualche ecclesiastico convissero nello “spazio bianco/nero massonico”, accampamento di una milizia impegnata per il progresso civile e la coesistenza pacifica dopo secoli di atroci guerre di religione e laboratorio dei diritti dell’uomo e del cittadino, oggi condivisi da tutti gli Stati aderenti all’ONU, dalle ONG riconosciute e dalle chiese cristiane. Tra i “fratelli italiani” più famosi a livello europeo nel Settecento spiccarono il savoiardo Joseph de Maistre, autore dell’acuto saggio sulla massoneria in vista del Convento (o conferenza internazionale) di Wilhelmsbad che avrebbe dovuto certificare le origini templari della Libera Muratoria (o quanto meno la sua discendenza dai crociati), e lo scienziato pinerolese Sebastiano Giraud. Nel Mezzogiorno furono altrettanto celebri il principe Raimondo Sangro di San Severo (la Cappella del suo palazzo gentilizio è un corso accelerato di simbologia iniziatica) e l’“abate” Antonio Jerocades, che raccolse le sue poesie muratorie in “La lira focese” (1783, ripubblicate a cura di Antonio Piromalli per la Bastogi nel 1986), purtroppo ignorato dall’Encyclopédie de la Franc-Maçonnerie diretta da Eric Saunier, a dimostrazione di quanto lavoro occorra per far meglio conoscere all’estero la storia dei massoni italiani.

Per il gesuita Barruel massone rima con rivoluzione.

Con la Rivoluzione francese l’immagine dell’Ordine massonico venne completamente stravolta e falsata, specialmente per opera del gesuita Agostino Barruel (1741-1820), secondo il quale il “giacobinismo” fu orchestrato dalle “arrières loges” (logge segrete) contro i troni e l’altare per vendicare lo sterminio dei Templari da parte di Filippo IV il Bello in combutta con papa Clemente V, l’annientamento dei càtari (o albigesi) e per decretare la vittoria del Dualismo manicheo: l’eterno conflitto tra la Luce e le Tenebre, tra il Male e il Bene. Per dare credito alla sua narrazione, Barruel affermò di essere stato egli stesso iniziato. Parlava dunque con cognizione di causa. Trascurò di ricordare che proprio i massoni furono le prime e principali vittime del Terrore (la gran maestra principessa di Lamballe fu linciata e decapitata dalla “populace” ingorda di sangue) e che la Rivoluzione venne deplorata da “fratelli” insigni, quali Vittorio Alfieri e Edmund Burke.
Quel marchio però rimase e, dopo il crollo dell’impero napoleonico (1814-1815), fu ripetuto per un secolo. Massone fece rima con rivoluzione. In realtà, sia nelle Americhe dei “fratelli” Washington e Simon Bolivar sia in Europa, la Libera Muratoria promosse l’avvento di libertà costituzionali, avversando così l’assolutismo, ma, per quanto possibile, essa operò “dall’interno” dei regimi, diffondendo il concetto e la pratica delle riforme civili: istruzione ed elettività alle cariche. In Italia la manifestazione più efficace di tale strategia furono i pacifici Congressi degli scienziati che tra il 1838 e il 1847 gettarono le basi di una possibile Lega italica capace di conciliare corone e libertà dei popoli. Un reazionario come Clemente Solaro della Margarita, ministro degli Esteri di Carlo Alberto di Sardegna, però non ebbe dubbi: quei conciliaboli erano l’anticamera della rivoluzione. Dal canto suo, appena eletto e quando era celebrato come papa “liberale”, Pio IX non esitò a ribadire la scomunica dei massoni nell’enciclica “Qui pluribus”. Poi li denunciò quali artefici della distruzione dello Stato pontificio e li liquidò come “sinagoga di Satana”. Scomunicò Vittorio Emanuele II, i suoi ministri (Cavour, Rattazzi, La Marmora…, nessuno dei quali era massone) e i parlamentari che ne approvarono l’azione. La lacerazione tra Chiesa e “mondo moderno” divenne irrimediabile. Sempre in omaggio alla verità dei fatti, va detto che, se non avevano fatto nulla per meritarsi le scomuniche di Clemente XII e Benedetto XIV (1751) e dei loro successori, parecchi massoni fecero di tutto per farsela ribadire, assumendo toni duramente polemici non solo contro il papa-re ma contro la chiesa di Roma e la religione stessa. Il 9 dicembre 1869 venne aperto a Napoli il Concilio anticlericale contrapposto al Concilio ecumenico vaticano inaugurato da Pio IX il giorno precedente, festa dell’Immacolata Concezione. Il Grande Oriente d’Italia non aderì affatto all’Anticoncilio (che durò appena un paio di giorni e fu sciolto da un commissario di polizia quando assunse toni repubblicani); esso, tuttavia, contò sul sostegno del “fratello” Giuseppe Garibaldi, del romanziere Victor Hugo (figlio di massone, ma non iniziato) e di molte logge, presenti con labari e dignitari.
Nell’enciclica Humanum genus (1884) papa Leone XIII ammise che tra i massoni vi erano anche persone perbene, “moderate”, ma, in linea con Barruel, ritenne che esse erano irretite dagli estremisti. Altri aggiunsero che a ordire la trama massonica erano gli ebrei. In “Note storiche contemporanee d’un italiano: massoneria, socialismo, ebraismo” (Chiasso, 1888) il gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Adriano Lemmi, venne marchiato quale “spudorato giudeo e settario”. Se nel Syllabus (1864) l’origine di tutti i mali (socialismo, comunismo, ecc.) era stata individuata nel liberalismo, ora la cospirazione era addebitata all’internazionale ebraica, che usava le logge come “utili idiote”. Ne scrissero ripetutamente Léo Taxil (1854-1907), ex segretario della Lega anticlericale e verosimilmente strumento dei “servizi” francesi, anche a giudizio del dottissimo massonologo Massimo Introvigne, e Domenico Margiotta, autore di “Ricordi di un 33.’.” e di “Il Palladismo: culto di Satana Lucifero nei triangoli massonici” (1895). Ottenuto straripante successo con “I fratelli tre puntini” (1885) e con le sconce “Memorie di una ex palladista perfetta iniziata”, attribuite all’inesistente Diana Vaughan, messo alle strette dai molti dubbi sollevati sulle sue chiacchiere, nel 1897 Taxil dichiarò che per dieci anni si era divertito alle spalle dei clericali e uscì dalla scena. Ormai i veri nemici suoi (cioè della Francia) erano stati sconfitti: Lemmi era stato costretto alle dimissioni su pressione dell’ala repubblicana del Grande Oriente, Francesco Crispi era stato travolto dalla sconfitta di Adua, Giosue Carducci, malato, era ormai isolato. La maggior parte dei suoi lettori rimase però convinta che Taxil avesse detto la verità. Del resto era stato ricevuto in udienza dal papa.
L’identificazione massoneria-rivoluzione assunse nuove forme, sino alle opere di Léon de Poncins e di Emmanuel Malynski, che in “La guerra occulta” spiegò che Lenin e i capi della rivoluzione bolscevica (1917 e seguenti) erano il punto di arrivo della cospirazione ebraico-massonica, le “forze occulte”, orchestrate da uomini come il Grande Parvus e soprattutto Jacob Schiff, banchiere potentissimo e regista del fronte occulto della sovversione mondiale.

L’ultima leggenda: la Massoneria generò il regine fascista

Dopo due secoli di identificazione della massoneria universale con il Male assoluto la Libera Muratoria italiana è ora bersaglio di una nuova accusa: tenne a balia e generò il regime fascista. Lo asserisce Gerardo Padulo in “L’ingrata progenie. Grande guerra, Massoneria e origini del fascismo, 1914-1923” (ed. Nuova immagine). Dottore di ricerca dal 1987, già consulente di Commissioni parlamentari e per le Procure di Roma, Brescia e Napoli, dopo ricerche archivistiche iniziate nel 1980 e saggi brevi (quale I finanziatori del fascismo, 2010), Padulo sostiene che il Grande Oriente d’Italia (a lui meglio noto rispetto alla Gran Loggia d’Italia, nata nel 1908-1910) sarebbe il “filo nero” che unì l’intervento dell’Italia in guerra (24 maggio 1915), la fondazione dei Fasci di combattimento (Milano, 23 marzo 1919) e la “marcia su Roma” (fine ottobre 1922) dalla quale nacque la dittatura di Benito Mussolini, l’antico massonofago che nel 1914 aveva fatto espellere i massoni dal Partito socialista italiano. Secondo lui sin da prima della conflagrazione europea il Grande Oriente d’Italia era “l’apparato centrale di un partito sui generis, radicato nella società civile e che, in larga misura, occupava e controllava lo Stato”. Esso aveva l’“aspetto di un tronco di cono”: immagine che richiama la fantasiosa “clessidra” nel 1984 proposta dall’on. Tina Anselmi nella Relazione (di maggioranza) della Commissione parlamentare d’Inchiesta sulla loggia Propaganda massonica. La massoneria, ripete Padulo riecheggiando l’intervento di Antonio Gramsci alla Camera il 16 maggio 1925, era il “partito della borghesia”: intrinsecamente conservatrice dunque, anzi reazionaria, pronta ad affidarsi ai fasci di Benito Mussolini dopo aver predicato democrazia e progresso. Poco conta se poi le due Comunità massoniche italiane (Grande Oriente e Gran Loggia), pesantemente vessate e perseguitate, nel 1925 furono costrette a sciogliersi proprio dalla prima “legge fascistissima” del governo mussoliniano. Esse avevano esaurito la loro funzione di battistrada della dittatura antidemocratica e liberticida. La tesi, sorretta da innumerevoli riscontri ai quali possono essere contrapposti molti altri documenti non meno convincenti, è alimentata da un pregiudizio che Padulo stesso confida al lettore. Mentre, senza conforto di prove documentarie o sulla base di indimostrate asserzioni di terzi, ascrive alla massoneria vari politici eminenti (inclusi Paolo Boselli e Vittorio Emanuele Orlando), con apprezzabile onestà egli scrive che se l’associazione massonica “tende a schiudere la via al regresso, a fortiori la sua attività deve essere sottomessa in itinere all’opinione pubblica” (p. 12). Il saggio costituisce un “atto di accusa” e al tempo stesso una “sentenza” nei confronti della massoneria, genesi del fascismo e di tutti i mali conseguenti. Mentre sottovaluta le profonde divergenze tra le due Obbedienze e i molteplici orientamenti presenti in ciascuna di esse (in specie il Grande Oriente) e tace su significativi massoni dell’epoca (Amedeo Rocco Armentano, Arturo Reghini, Edoardo Frosini, Michele Chiarappa…) e sui legami internazionali delle massonerie italiane (da Parigi e Londra alle Americhe), il libro giova a oscurare il peso esercitato sul governo Mussolini dai nazionalisti e soprattutto dai cattolici, indispensabili al duce non solo nel 1922-1923 ma proprio dopo la svolta autoritaria suggellata con il Concordato del 1929. D’altronde anche Michele Scurati in “M. Il figlio del secolo” (Bompiani) zeppo di omissioni (che a volte sono peggio degli errori) tace l’insanabile conflitto tra logge e fasci culminata nella fiorentina “notte di San Bartolomeo” del 1925, adombrata da Vasco Pratolini in “Cronache di poveri amanti”.

Un dono di Natale per la Commissione antimafia?

Il teorema di Padulo sarà gradito a molti componenti della ennesima Commissione parlamentare d’inchiesta “sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali anche straniere”. Ancor prima di essere eletto alla sua presidenza, l’on. Nicola Morra, deputato del Movimento 5 Stelle, ha rilasciato dichiarazioni poco lusinghiere nei confronti della massoneria. Tutto lascia ritenere che coglierà il testimone da Rosy Bindi, secondo la quale “la massoneria” (nome comune di cosa: non esiste “la” massoneria: esistono molte diverse Comunità massoniche) è “sostanzialmente segreta”, e quindi in conflitto con la Costituzione, ed esiste una “zona grigia” tra logge e criminalità organizzata. La Relazione finale della Commissione Bindi, incredibilmente approvata all’unanimità, rimpiange la legge antimassonica del 1925 e auspica maggior rigore nei confronti dei massoni. Lo farà la Commissione di nuova nomina? O qualcuno finalmente denuncerà il conflitto tra l’antimassonismo dilagante e la Costituzione vigente?
Additare la massoneria quale responsabile del regime di partito unico (il “fascismo”) ricalca lo specchio deformante di Barruel e di Taxil e dell’innominabile spretato che nel febbraio 1923 propugnò l’incompatibilità tra logge e Partito, decretata dal Gran Consiglio del Fascismo per suggellare la confluenza dei catto-nazionalisti nel PNF capitanato da Mussolini, antico autore del romanzaccio “Laura Particella. L’amante del cardinale”.

Un po’ di verità dopo tante fiabe

A confutazione dei luoghi comuni ricorrenti basterebbe ricordare quanti e quali massoni hanno invece concorso a rendere l’Italia un Paese meno incivile di quanto era prima dell’Illuminismo, del Risorgimento, dell’unificazione nazionale, dell’apogeo del liberalismo e della crisi postbellica. Va anche detto che nell’ottobre 1922 in Italia non nacque affatto “il regime” ma un governo comprendente tutti i partiti costituzionali (inclusi i cattolici di De Gasperi, che votarono a sostegno del duce), mentre il Partito comunista d’Italia, sezione della Terza Internazionale di Mosca, non paga della fallita “occupazione delle fabbriche” del settembre 1920 chiedeva a gran voce la rivoluzione bolscevica.
Oggi però in Italia non interessa solo o non soltanto la disputa storiografica sulle diverse e segmentate Comunità massoniche locali, in varia misura collegate con la Massoneria universale: più o meno otto milioni di “fratelli” che seguono con sgomento quanto accade nella terra di Tommaso Crudeli, protomartire della massonofobia. In realtà è in discussione la libertà di associazione, garantita dalla Costituzione: un caposaldo della civiltà “occidentale”, ora messa in discussione dal “Contratto di governo per il cambiamento”, che stride con secoli di sofferte conquiste liberali, e dalla legge della Assembla regionale siciliana che esige dai suoi membri la pubblica dichiarazione di appartenenza a logge massoniche e ad “associazioni similari” (Rotary, Lions, terz’ordini religiosi…, tutti fondati su promesse vincolanti, gerarchie statutariamente costituite, disciplina?). Quando organi dello Stato oltrepasseranno la misura, prima o poi anche il Colle dovrà dire la sua, come a suo tempo seppe fare il sempre rimpianto Francesco Cossiga, cattolico adamantino, sì, ma strenuo difensore della grande storia dell’“Italia europea”, oggi rimessa in forse dalla massonofagia dilagante.

Aldo A. Mola

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