Anche il Maresciallo d’Italia Ugo Cavallero tra le Colonne. Massoni in divisa: sciarpa azzurra e grembiulino

Il 23 maggio 2009 si è svolto a Cagliari il Convegno nazionale di Studi Massoneria Esercito e Monarchia nel regno d’Italia, organizzato dalla Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. Aperto da Raffaele Serra, Delegato Magistrale per la Regione Massonica Sardegna della Gran Loggia, il Convegno ha registrato una vasta e qualificata partecipazione. Molte le autorità presenti, incluso l’Assessore alla Cultura, che è intervenuto nel merito dei lavori. Essi sono stati introdotti dal Luogotenente Sovrano Gran Commendatore e G.M.A. Sergio Ciannella e chiusi dal Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro Luigi Pruneti.

Fra le relazioni, tutte importanti e innovative, come per altro è emerso nell’ampio dibattito di approfondimento, spicca quella di Marcello Millimaggi La presenza di militari nella Comunione di Piazza del Gesù negli anni 1915-1925. Dati rilevati da documenti d’archivio della Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M., ghiotta anticipazione di uno studio organico che richiederà anni di impegno e imprimerà una svolta sia alla storia della Gran Loggia e della Massoneria in Italia sia a quella politico-istituzionale generale. (*)   

Il curatore scientifico del convegno, Aldo A. Mola, propone alcune considerazioni sul tema del convegno.  

Anche il Maresciallo d’Italia Ugo Cavallero  tra le Colonne. Massoni in divisa:  sciarpa azzurra  e grembiulino

Il dibattito sulla vera identità del regime fascista registra un’accelerazione. Paolo Rossi,  caposcuola con Eugenio Garin del pensiero filosofico nelle ultime fasi del fascismo e  durante la Repubblica, ha recentemente ammesso che, pur con alcune eccezioni (tra le quali spicca Benedetto Croce), gli “intellettuali” (accademici, docenti universitari, saggisti, giornalisti, artisti, scienziati…)  si mostrarono compattamente fedeli al regime sino al 1942, vale a dire sino alla sconfitta militare dell’Italia dal fronte sovietico all’Africa settentrionale. Fino  quel momento, asserisce Rossi alludendo ai tanti che poi fecero il salto della quaglia e si riscoprirono o proclamarono antifascisti di antica data, la generalità degli “intellettuali” forse aveva qualche venatura di antifascismo, ma la coltivava solo in segreto (nicodemisti). Bruciavano grani d’incenso al duce in tutte le inaugurazioni di anni accademici, gli scrivevano per ottenerne indulgenza e protezione (fu il caso di Alberto Moravia e di Norberto Bobbio, ormai notissimi), secondo Rossi, ma sotto sotto speravano che per un evento o per l’altro il duce finisse per cadere.

A differenza (o a correzione) di quanto afferma Rossi, non si può però dire che gli “intellettuali” abbiamo compiuto imprese memorabili per causare o accelerare il tracollo del regime e del suo Capo. Il nodo venne reciso dalle iniziative convergenti del Gran Consiglio del Fascismo, che nella notte tra il 24 e il 25 luglio approvò a maggioranza l’ordine del giorno invocante la riassunzione da parte del re di tutti i poteri statutari, e di Vittorio Emanuele III, che convocò Mussolini, gl’impose le dimissioni  e conferì al maresciallo d’Italia  e duca di Addis Abeba, Pietro Badoglio, la formazione del nuovo governo.

In dissenso con Paolo Rossi, lo storico Sergio Romano ha osservano che non si trattò tanto di nicodemismo.  Qual più qual meno, gli “intellettuali” erano infatti al seguito di gerarchi, ras, notabili e capibastone (Ciano, Bottai, Balbo, Farinacci,…), ciascuno dei quali consentiva tante piccole eresie mentre tutti insieme generavano la coesistenza di vari fascismi, intenti a disputare sulla mai chiarita natura  o dottrina del regime, celata nei veli della “mistica fascista”. All’elenco tracciato da Sergio Romano vanno aggiunti Ugo Spirito, capofila del corporativismo, un caposaldo dottrinale che ritroveremo nella RSI e nel dopoguerra, i clericofascisti e, soprattutto i “tecnici” passati negli Anni Venti dall’antifascismo al mussolinismo. Qualche esempio? Alberto Beneduce, già componente della giunta di governo del Grande Oriente d’Italia, antifascista dichiarato e pugnace ma poi artefice dell’IRI e della riforma della Banca d0Italia, presente a titolo gratuito in quaranta consigli di amministrazione. Beneduce era convinto che Mussolini potesse  ammodernare l’Italia grazie ai poteri che  il Parlamento aveva negato a Giolitti e ai governi liberaldemocratici ma  aveva generosamente conferito proprio al “Trucio” che  minacciava di trasformare la Camera in bivacco per i suoi manipoli di camicie nere. Va ricordato, al riguardo, che la riforme elettorale da cui nacque il regime (la cosiddetta “legge Acerbo”)  non fu affatto un colpo di mano del governo Mussolini: essa venne prima elaborata dalla Commissione dei Diciotto e infine approvata dalla Camera eletta nel maggio 1921 con la regia di Giovanni Giolitti, favorevole alla nuova legge perché spazzava via la “maledetta proporzionale” (1), anche se personalmente incline al ritorno ai collegi uninominali vigenti dal 1848 al 1919.

Nel ventennio fascista avvennero due importanti  travasi di protagonisti della vita pubblica, economica, culturale dall’area liberaldemocratica al sostegno del governo in nome della continuità delle istituzioni. In primo luogo un robusto nucleo di industriali, finanzieri e scienziati di formazione massonica collaborò apertamente con il governo, garante della stabilità sociale e di riforme. Fu il caso di Vittorio Valletta, membro della Gran Loggia d’Italia nata nel 1908 per scissione del Grande Oriente, impelagato in beghe di politica spicciola.

In secondo luogo –  ed è su questo aspetto, altrettanto importante, che il convegno di Cagliari ha richiamato l’attenzione, documenti alla mano – un  cospicuo numero di alti ufficiali (Marina, Aviazione e soprattutto Esercito e corpi tecnici)  irruppe in loggia tra il 1922 e il 1925. Essi fecero quadrato a difesa della monarchia, di Vittorio Emanuele III, garante delle libertà statutarie. Qualche nome?  Valgano d’esempio il generale Luigi Capello, comandante della Seconda Armata (circa un milione di uomini: la più importante mai allestita nella storia d’Italia),  il Maresciallo d’Italia Ugo Cavallero, che dopo l’8 settembre 1943 rifiutò di aderire alla RSI e venne “suicidato” da Kesselring presso il suo Comando, a Frascati, il grande Enrico Caviglia e un lungo elenco di militari dalla schiena diritta, provati dalle leggi razziali che determiunarono l’estromissione dalle forze armate di ebrei, tra i quali l’ufficiale più decorato d’Italia, frettolosamente richiamato in servizio per riorganizzare il porto di Taranto bombardato dagli anglo-americani, come ha ricordato Alberto Rovighi in un bel volume edito dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’esercito.

Quei militari posero le premesse per l’uscita di sicurezza dal regime, dopo la morte del massone Italo Balbo, l’eclissi di Giuseppe Bottai e di  Dino Grandi, massoni entrambi, e il ritorno sulla scena di nazionalisti e democratici che avevano conosciuto a fondo il mondo italiano e internazionale delle logge. La parola d’ordine fu: ritorno alla normalità, ripristino dei diritti.

Alla luce di questi studi, la Massoneria si conferma insomma una scuola morale consustanziale alla disciplina militare, come avevano insegnato il filosofo fossanese Balbino Giuliano (a lungo ministro dell’Educazione Nazionale, massone), il generale Pietro Gazzera, di Bene Vagienna, per quattro anni alla guida delle Forze Armate (al quale è ora dedicata una eccellente biografia di Giuseppe Novero, Mussolini e il Generale.Pietro Gazzera, ministro della Guerra lungo le tragedie del Novecento, edita da Rubbettino)  e mostrò lo stesso Vittorio Emanuele III, che aveva in loggia tanti suoi pari grado: sovrani o ex sovrani, dalla Spagna alla Gran Bretagna, dai vertici della Repubblica francese alle Case principesche germaniche, a tacere dei re di Svezia, Danimarca, Grecia…

Un fondamentale capitolo della storia contemporanea può dunque essere meglio compreso passando senza falsi scandalismi, attraverso  le colonne dei templi.

Il saggio di  Marcello Millimaggi, documenta  la misura davvero impressionante dei militari che alternavano la divisa d’ordinanza a sciarpa (non solo azzurra)e grembiulino… Dopo lo scioglimento delle logge (1925) con coperture e in modalità diverse essi rimasero al proprio posto e prepararono giorno dopo giorno il ritorno alla libertà.

Dinnanzi a queste ricerche serie e innovative, il mito secondo il quale la Massoneria quanto meno in Italia sarebbe   geneticamente giacobina e repubblicana, tanto caro a studiosi come Gian Mario Cazzaniga, Giuseppe Giarrizzo e altri autori chiamati a raccolta per il volume degli Annali della Storia d’Italia  sulla  Massoneria (Einaudi, 2005), crolla rovinosamente; e con  esso vanno in frantumo tante leggende e deformazioni.

La verità, quella dei fatti, non inquinata da chiacchiere, si fa strada. Finalmente.

 

(1) v. ora Dario Fertilio, Maledetta proporzionale. I chi, come e perché della democrazia maggioritaria, Milano, Albatros (O libri di Libertates).

(*)  Nel corso dei lavori sono intervenuti il generale CdA Oreste Bovio, già Capo dell’Ufficio Storico dello SME, Tito Orrù, docente emerito dell’Università di Cagliari, Nicola Pedde, della “Sapienza” di Roma, il saggista Gianfranco Murtas, Daniele Sanna, ricercatore all’Università di Pavia, Alberto Monteverde, dell’Ufficio Storico SME, moderati dal prof. Stefano Pira dell’Università di Cagliari.

Gli atti del Convegno sono in coso di pubblicazione.