L’arco di Eraclito e la ritualità di loggia

di Roberta Cappellini

Chi era Eraclito di Efeso? Il sapiente che “indagando se stesso” scoprì secondo il suo stesso dire, una “legge divina”, che definì in termini di “Logos”. Logos quale “trama nascosta”del dìo che regge e dinamizza l’apparenza delle cose, ma logos anche come “discorso” dello stesso Eraclito. Logos quindi come legge divina, manifestazione del noumeno e contemporaneamente pensiero-parola umana. “La trama nascosta è più forte di quella manifesta.” (14 A20).

L’enigma
Soprannominato l’oscuro per l’enigmaticità di questo suo dire, Eraclìto utilizzava il paradosso anziché la logica, o meglio, la logica dei suoi famosi enigmi risultava paradossale, proprio in virtù di tale trama. In questo senso la sua filosofia è definibile come “pathos del nascosto”, in quanto tendente a considerare il fondamento ultimo come qualcosa di celato. Su questo si fonda infatti il suo incedere enigmatico. L’enigma,fenomeno archetipale della sapienza greca, fu definito da Aristotele in termini di “formulazione di un’impossibilità razionale, che esprime tuttavia un oggetto reale.” L’enigma dunque nasconde ed al contempo manifesta la realtà, in quanto aderente all’oscillazione tra essere e non essere, tra manifestato e non manifestato, tra visibile ed invisibile, aderente cioè al bipolarismo o dualità della vita. Così la molteplicità degli enti del mondo è intreccio d’enigmi, alla stregua dell’intreccio delle parole del sapiente. Tale intreccio universale è fondato sull’elemento contraddittorio, il cui scioglimento è rappresentato dall’unità sottesa, “dal dìo che vi sta dietro” (14 A91), cioè dal logos stesso: unità, non da intendersi quale somma delle antitesi, ma realtà nuova comprensiva degli stessi, tertium quid, in quanto principio stabilente un’affinità tra le cose, avvicinandole ed al contempo lasciandole sussistere nella loro pluralità, secondo il respiro dell’universo. “Il dìo disperde ed al tempo stesso raccoglie e si avvicina e si allontana.” (14 A45). Non unità fusionale (reductio ad unum) che annulla differenze e contrasti quindi, ma simultaneità di unità e molteplicità dei contrari. In tal senso a-dualità: com-unione delle parti, armonizzazione: “concordia discorde” (armonia discors) per usare la luminosa espressione paradossale che concede l’immediato lampo intuitivo dell’”istante folgorante”.

L’Armonia
In tal senso il logos sembra descrivere il movimento di una danza, prendendo le sembianze dell’armonia. Ma cosa si intende tradizionalmente con armonia? Negli aforismi eraclitei, essa non viene fatta corrispondere come nella scala musicale pitagorica all’ottava intesa come passaggio da una frequenza ad un’altra doppia; ma diversamente essa vi risulta riferita alla tensione della corda dell’arco tesa tra i due opposti estremi, propulsiva della freccia. Afferma il filosofo :“ Dell’arco invero il nome è vita, ma l’opera è morte.” (14 A8). E ancora : “Armonia contrastante come nell’arco e nella lira.” ( 51b) L’arco vi è pertanto considerato, come da accezione greca, simbolo di vita. L’arco e la vita erano all’epoca chiamati con lo stesso nome diversamente accentato: Bios (vita), Biòs (arco) Ergo: l’armonia della vita starebbe nella tensione, dunque nel contrasto (gr.polemos), nella contraddizione. “Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte re” (53). Allora come coniugare razionalmente contrasto ed armonia, evitando l’ottava, ossia l’elevazione di tonalità? A tal fine analizziamo questo concetto di tensione attraverso la mitologia greca. La dèa Armonìa nasce da Venere e Marte, cioè dalla composizione del contrasto. E’ solo in seconda battuta, cioè dalle nozze successive di Cadmo ed Armonia che nascerà la stirpe guerriera ed insorgeranno lotte e distruzione, mostrando la spaccatura della tensione nel punto di superamento del limite che avvia quel processo degenerativo in cui il contrasto si trasforma in prevaricazione e l’armonia vitale in morte. Di Armonia come vita quindi si può parlare fintantochè la tensione viene mantenuta, dunque contenuta dal polemos, vale a dire dal contrasto, dalla contrapposizione degli estremi dell’arco della vita (Armonia discors)

La Freccia della Sapienza
Trasponendo tale immagine a livello gnoseologico metaforico, otteniamo che il pensiero può essere fecondo e generare vita – come dimostra lo scoccare della freccia, rappresentativa in questo caso dell’idea, ossia dell’intuizione unificante – se il suo movimento vitalmente contrastante, viene contenuto nella tensione degli opposti. “Ciò che si oppone converge e la più bella delle trame si forma dai divergenti e tutte le cose sorgono secondo la contesa.” (14, A5). Si tratta pertanto di un rapporto di relazione tra gli opposti. Etimologicamente arma, da cui armonia, in greco significa relazione. Dunque la contrapposizione è vitale e feconda se contenuta nella relazione. Ma a cosa dobbiamo riferire la relazione? Se l’essere umano è homo symbolicus ed il suo elemento caratterizzante è la parola, la relazione è riferita al dialogo, inteso come da etimologia greca:“dia-logos” (gr. dia: attraverso, per mezzo di e logos: parola). Il logos eracliteo è infatti considerato nelle sue tre dimensioni fondamentali e quindi non solo ontologica e noetica, ma anche linguistica. La parola vi è intesa quindi non come elemento convenzionale, ma come parola sacra, portatrice della dimensione olistica della persona, nella sua dimensione relazionale, orizzontale e verticale, connessa cioè all’universo secondo i molteplici stati dell’essere. Parola rappresentativa dell’incarnazione dell’esperienza di vita e di pensiero, nel suo triplice senso manifestato, allusivo del quarto principiale non manifesto, come già insegnavano i Veda: parola interiore (Madhyama Vac), parola pronunciata (Vaikhari Vac), parola vivente (Pashianti Vac). Logos e mythos sono interconnessi. L’armonia del Logos non è fondata quindi sulla parola dialettica – essendo questa basata sull’agonismo della ragione armata e su un’attitudine autoreferenziale prevaricante (causa di rottura della tensione vitale dell’arco) – quanto piuttosto sulla parola dialogico-simbolica di tipo relazionale e quindi accogliente, in quanto aperta all’alterità, la cui invisibile armonia poggia in tal senso sul ritmo simpatetico dell’universo (gr. Sympatheia: le connessioni invisibili costitutive della realtà universale). In tal senso Logos è parola d’Amore e in quanto tale generatrice di vita e conoscenza.

La Ritualità di Loggia
Vi sono delle considerazioni massoniche che possono essere tratte in senso analogico, riferite ai lavori rituali di Loggia. La radice sanscrita “RTA” infatti, da cui si originano rito, ritmo, ordine, allude anch’essa al movimento, dunque alla bipolarità. In tal caso la ritualità è da intendersi come ritmo, movimento del corpo, del pensiero, della parola, che possono risultare armonici e vitali se contenuti nelle differenze dei singoli, cioè appunto ritualizzati (ordinati). Ciò che “contiene” il polemos (la molteplicità dei contrasti) dunque, come indicato dalla radice etimologica (RTA), è il Rito di Loggia rappresentativo dell’ordine cosmico, in quanto elemento centrale comune, nucleo attorno al quale tutto ruota in senso convergente pur nelle singole diversità. Perché il rito “con-tiene” i contrasti ? Perché li ri-compone in un progetto (del GADU), con effetto speculare sulle singole differenti coscienze, in quanto centro di unificazione secondo principio centripeto e centro di rifrazione secondo principio centrifugo, in virtù dei quali ciò che parte unico ritorna rifratto e viceversa. Unità e molteplicità, essere e divenire secondo circolarità continua, nella quale si compie la tras-formazione delle singole, differenti coscienze, cioè il passaggio oltre lo stato individuale, nella riunificazione di ciò che è sparso, ogni coscienza permanendo nella propria unicità, ma contemporaneamente dando luogo, insieme alle altre, ad una nuova unità, superiore alla somma dei singoli apporti delle parti. Così nasce l’Idea e con essa l’Ide-azione che analogamente alla freccia scoccata, andrà ad infrangere l’ordine precedentemente costituito, procurandone in tal modo la morte, quella morte che, in quanto consapevole, è al tempo stesso nuova vita, cioè “tras-mutazione” : passaggio da un ordine all’altro, da una forma all’altra della realtà, sia interiore che esteriore, passaggio operato dall’artifex , dal costruttore, cioè dal realizzatore del Progetto del GADU, dall’Uomo Universale.