Stoicismo e Massoneria

di Antonio Binni

Nello svolgimento degli architettonici lavori è luogo comune sentire ripetere spesso che la filosofia stoica costituisce il principale fondamento della sapienza latomistica. L’affermazione, tanto comune e generalizzata, è, però, in verità, del tutto indimostrata. Questo scritto è pertanto preordinato a verificare l’esattezza di quell’assunto. Il che sarà ottenuto mettendo a confronto, da un lato, lo stoicismo come linea filosofica di pensiero e, dall’altro, l’insegnamento massonico, al fine di appurare eventuali punti in comune o discrepanze fra le due discipline, consentendo, a questa stregua, un giudizio meditato, perché non più frutto di un topos, ma di una accurata comparazione. Lo stoicismo è una filosofia pratica e concreta posto che insegna a vivere l’esistenza retta dalla saggezza conseguenza della razionalità che presuppone in ogni essere umano in quanto creatura pensante. È uno stile di vita quotidiano austero e rigoroso, perché si fonda sul dovere che rifugge dalla lode o anche soltanto dalla altrui approvazione o disapprovazione, dal momento che l’unica legge che conosce è quella della coscienza. Dovere, coscienza e volontà di seguire i comandamenti morali per sé stessi, accogliendo con calma e imperturbabilità l’esito delle proprie azioni, sono altrettanti concetti introdotti per la prima volta dallo stoicismo, al pari della stima per sé stessi; fino al punto di togliersi la vita, se questo è l’unico modo per continuare a conservarla. Per lo stoico lo scopo della vita non è la gioia, ma la saggezza, intesa come pace interiore che non conosce eccessi. Vivere con saggezza per lo stoico significa soprattutto esercitare la virtù della giustizia nei rapporti con gli altri. Per lo stoico i piaceri in sé non sono moralmente né buoni, né cattivi. Ciò che è decisivo è l’uso che se ne fa. La moderazione «niente in eccesso» è la discriminante fra i piaceri sani e quelli malsani, pur restando vero che il saggio trae piacere autentico unicamente dall’agire in accordo con la virtù. Per lo stoico, il dolore è uno dei tanti eventi della vita. Va pertanto accolto virilmente, senza pianti né lamenti. Comportarsi da stoico richiede una «eccellenza di carattere» che esige un impegno quotidiano. Lo stoico, per il suo rigore e per la risolutezza della sua coscienza morale, ha in sé qualcosa di tremendo, ma nel suo atteggiamento totalmente indifferente riguardo ai beni – essere padrone di tutto, ma non possedere in realtà alcunché – vi è un quid straordinariamente attraente per colui che voglia vivere la propria vita con dignità. Non c’è dunque da meravigliarsi se questo insegnamento così superbamente rigoroso sia stato raccolto da uomini che, disgustati da una politica incapace di fondare la pace, amante piuttosto di guerre fratricide, si siano ripiegati su sé stessi per trovare una ragione di vita in comunità fondate su antichi principi. Quello che si è fin qui scritto, come è autoevidente, può riferirsi de plano alla sapienza massonica. Che la Massoneria sia deontica in verità nessuno può dubitare, perché si fonda sul dovere e sulla sua puntuale osservanza e non già sul diritto rivendicato. Che in Massoneria l’adempimento del dovere debba avvenire senza minimamente preoccuparsi del risultato è un’altra inoppugnabile certezza, visto che la semina prevale sul concetto di raccolto. Che la Massoneria abbia posto al centro della condotta dell’uomo la coscienza è parimenti una verità incontestabile. Come è altrettanto incontestabile che la Massoneria sia la levatrice di un uomo migliore che previlegia la virtù e avversa il vizio, esercitando la ragione costantemente, avido di saggezza, che è dominio sulle passioni, abituale equilibrio con sé stessi e con gli altri. Per il Massone, così come per lo stoico, l’azione virtuosa è premio a sé stessa, esempio di un completo disinteresse nei confronti della vanità e, più in generale, della altrui approvazione o disapprovazione. Questi brevi cenni sono poi sufficienti a constatare la coincidenza fra i due insegnamenti fondandosi entrambi i punti di vista su uguali principi. Concludendo sul punto: se lo stoicismo è una filosofia pratica e concreta, alla Massoneria non può parimenti negarsi il carattere di ortoprassi, posto che, per sua natura, ha come fine la trasformazione dell’uomo in un essere più consapevole della sua umanità con la scoperta della solidarietà verso l’altro. Vivere con saggezza per lo stoico significa guardare la realtà da un punto di vista “alto”, per rifarsi ad un esempio esplicativo, assumere cioè la stessa posizione dello Zeus omerico, che dal monte Olimpo guarda giù in basso. Allargare la prospettiva comporta infatti attribuire il giusto valore alle cose, riconoscere la loro finitezza e caducità a fronte della eternità del tempo. Una visione che abbraccia l’intero universo e rende l’uomo magnanimo, generoso nei giudizi, anima capace di riconoscere l’inutilità degli affanni di fronte alle banalità destinate a rimanere in basso. Liberatosi dai pesi terreni, il pensiero “alto” ritorna ad essere cittadino del cosmo intero, facendo dell’immensa vastità della natura la sua dimora. Quando il Massone cammina in equilibrio fra il bianco e il nero, non fa altro che guardare la realtà dall’”alto”, quanto dire esercitare quell’insegnamento stoico che poi chiama “distacco”, che altro non è però che una prospettiva diversa, uno sguardo dall’“alto”, un distanziamento cognitivo che, mentre assicura calma e serenità, garantisce nel contempo un retto giudizio. La lezione stoica sul dolore è preziosa per chi voglia affrontare le avversità della vita con dignitosa calma e rigorosa razionalità. Lo stoico, uomo saggio, sa che l’addolorarsi è conforme a natura, ma accetta il proprio dolore, lo sopporta, senza però farsi mai sopraffare. Non soccombere al dolore, parte naturale e inevitabile della vita, è lezione anche squisitamente massonica che insegna a non alimentare il dolore agitando il pugno davanti all’universo. Il dolore maggiore è costituito dalla morte. Interessante è pertanto scoprire l’atteggiamento dello stoicismo di fronte al gorgo dell’incertezza. In natura tutto ciò che ha un inizio ha pure un culmine e una fine. La morte non è dunque altro che un processo della natura. Per lo stoico va pertanto accolta come un evento inevitabile. L’uomo non è eterno, ma mortale, una parte del tutto, come lo è l’ora in un giorno. Per lo stoicismo è pertanto infantile la paura della morte, che danneggia l’uomo più della morte stessa, tanto da far dire allo stoico che l’uomo non è mai completamente vivo fintanto che teme la fine. In questa prospettiva imparare a morire significa dunque smettere di essere schiavi. Lo stoico – come il massone – sa che l’uomo muore un poco ogni giorno, fin da quando è nato, perché coeva alla vita è la morte. Vita e morte non sono infatti altro che le due facce della stessa medaglia. Per questo il Massone, come lo stoico, si prepara quotidianamente alla propria fine con la meditazione filosofica che altro non è che un imparare a morire, ossia prendere confidenza con la morte per lasciare poi andare la vita con grazia e serenità; dove l’eco della lezione platonica non solo è evidente, ma giganteggia, posto che tanto lo stoico quanto l’iniziato non si fa turbare dalla morte, ma semmai, dal giudizio che ne diamo. Come più tardi dirà espressamente Epiteto («Ciò che turba gli uomini non sono le cose, ma le opinioni che essi hanno delle cose»). Sul significato ultimo della morte stoicismo e massoneria, però, divergono. Per lo stoico, la morte – evento naturale inevitabile – è un ritorno alla natura, un disperdersi nella madre terra, esattamente come avviene per la ghianda, l’uliva e le foglie che il vento riversa per terra. La consolazione, in questa ottica, nasce allora dalla contemplazione del cosmo, nel quale la morte è iscritta, dal suo ordine, da quella sete insaziabile di sapere (veri avidus Seneca ad Marciam De consolatione 20,1) che spinge l’animo a scrutare i segreti del cosmo alla ricerca della propria identità. L’uomo può così trovare un riparo inespugnabile nella tranquillità dello spirito solo quando giunge finalmente a contatto con le cose eterne. Per la sapienza massonica la morte, evento naturale, trova invece, motivo di consolazione nella certezza che essa coincide con la suprema iniziazione: suprema perché la morte spalanca le porte alla scienza infusa, a quella conoscenza cioé che non è più né sacrificio né affanno, ma pura evidenza squadernata avanti occhi finalmente appagati. La natura di questo scritto non permette ulteriori comparazioni confermative di ciò che risulta del resto ormai chiaro. Peccheremmo tuttavia di superficialità se omettessimo di soffermarci su di un punto, originale e qualificante, della dottrina stoica precorritrice di quella cifra universalistica così cara al punto di vista latomistico. Il regno dell’etica stoica non è più circoscritto ai conviventi di una determinata polis. All’opposto, si estende a tutti gli uomini del cosmo senza distinzione di popoli, razze, Stati e classi, perché tutti gli esseri umani appartengono alla umanità, così come l’onda all’oceano. Per la prima volta la filosofia ha pensato una unità di tutti gli esseri umani come un’unica comunità di uomini uguali con pari dignità. Il cosmopolitismo stoico inaugura una natura universale che precorre i diritti dell’uomo. Cifra che la massoneria assume e fa propria fin dal suo nascere. La Massoneria, come lo stoicismo, nasce universale proprio perché è destinata all’uomo e all’affermazione della sua dignità, che gli riconosce come sua qualità intrinseca, che non gli viene, dunque, né concessa, né attribuita, per essere qualità innata alla persona, una sua prerogativa coeva al suo aprire gli occhi sul mondo: natura che non dipende dunque neppure dal riconoscimento altrui, siano essi uomini, la società, lo Stato. Sul punto della universalità dottrina stoica e sapienza massonica coincidono dunque perfettamente in quanto entrambe si rivolgono all’Uomo, a prescindere dalla sua nascita, razza, sesso, religione. All’inizio di queste note ci siamo domandati quanto rispondesse a verità il luogo comune secondo il quale lo stoicismo costituirebbe la fonte principale dell’insegnamento massonico. Il confronto operato – a quanto consta, qui compiuto per la prima volta, seppur limitato unicamente ad alcuni punti qualificanti – autorizza a sciogliere l’interrogativo in termini positivi. Ne diamo atto con viva soddisfazione, invitando nel contempo il cortese lettore a prenderne a sua volta atto, questa volta, però, non per un incontrollato verbum, ma, vien fatto di dire, proprio per tabulas.