Epicuro maestro di saggezza per il mondo contemporaneo

di Antonio Binni

Epicuro nasce a Samo il 341 a.C. e muore a Atene nel 270 a.C. Nel 306 a. C. acquista una abitazione a Atene, ove prende dimora e, nell’annesso giardino, apre la sua scuola che dirige fino alla morte. In questo cenacolo, denominato “Il Giardino” dal luogo ove avvengono le conversazioni, incontra amici, suoi devoti ammiratori e discepoli, disputando dell’arte di vivere secondo natura. Questa specie di confraternita unita dalla passione degli studi è un luogo aperto, frequentato anche da donne, tra cui la celebre cortigiana Leonzio, donna di rara intelligenza e profonda cultura, oltre che da schiavi, fra i quali Mys, che il Maestro, nel suo testamento, poi emanciperà. Epicuro, a causa del suo insegnamento, è stato uno degli uomini più calunniati e mistificati del suo tempo (… e non solo!). Accusato di essere dedito ai piaceri del cibo e della carne, ebbe invece uno stile di vita integerrimo e profonda rettitudine morale, come attestano Seneca e Plutarco, che pure ne confutano la dottrina. Proverbiali erano la sua generosità e ospitalità, insieme all’alto valore in cui tenne l’amicizia, alla quale, nella sua opera, attribuì un’importanza centrale fino a farne “la sicurezza più grande” contro tutti i mali della vita. Epicuro visse nel momento storico più avvilente per i Greci. Dopo la conquista di Alessandro Magno (morto nel 323), la Grecia, inglobata nello smisurato Impero macedone, era infatti diventata una semplice periferia priva di libertà e di autonomie politiche, originata dalla caduta delle poleis. La Grecia classica, con i suoi Pericle, Tucidide, Eschilo, Aristofane, Prassitele, Fidia, Platone, con i suoi Partenoni, i templi di Delfi e di Olimpia, le sculture di Policleto e i vasi di Eufronio, era così diventata un mero ricordo e, soprattutto, un profondo rimpianto. L’uomo greco, degradato da cittadino a suddito, aveva perso ogni punto di riferimento. Per questo, diffusa era la depressione e l’angoscia. Occorreva, pertanto, una filosofia di emergenza indirizzata alla ricerca della verità e della felicità. Come fu appunto quella del filosofo di Samo coerente all’insegnamento del Maestro: “Vuoto è il discorso del filosofo se non contribuisce a guarire le malattie dell’anima”. A ben considerare, noi stiamo vivendo un periodo storico per molti versi simile a quello in cui visse Epicuro. Stiamo infatti attraversando una crisi altrettanto profonda, indotta dalla globalizzazione che, mentre ci isola ai margini di un mondo che sembra ignorare confini, ci obbliga, nel contempo, a fronteggiare la rivoluzione tecnologica, con tutti i complessi e delicati problemi che comporta, specie sul piano morale. Ogni progresso scientifico rende infatti la pratica della morale sempre più difficile. Anche a ragione di questa similitudine, la lezione di Epicuro si rivela straordinariamente attuale, visto che il Maestro del Giardino ha affrontato temi ed argomenti che, sia pure sotto diverse vesti, si sono oggi riproposti agli uomini attenti. Per questo Epicuro, oltre che Maestro di saggezza per il mondo contemporaneo, è pure il più attuale dei filosofi antichi, come dimostra tutta la sua opera e, in particolare, l’esempio che segue. Nella sua Fisica è dato cogliere una serie di intuizioni sorprendenti che, non a caso, hanno attirato l’attenzione degli scienziati del Novecento: il movimento spontaneo degli atomi, la loro natura indivisibile composta però da elementi ancora più piccoli (le particelle subnucleari di oggi), l’affermata esistenza del vuoto necessaria per rendere possibile il movimento degli atomi, gli infiniti mondi che si fanno e si disfano in continuazione perché gli atomi “percorrono anche le più grandi distanze”, anticipazione dell’idea, oggi praticamente accettata, che il nostro universo visibile si espande a una velocità sempre crescente, per i fisici moderni sono stati altrettanti motivi di riflessione e spunti di analisi che hanno fatto di Epicuro un protagonista nel pantheon della scienza. Lo studio della natura, per il Maestro del Giardino, non era però fine a sé stesso. Al contrario, era strumentale alla costruzione della sua filosofia incentrata sul principio del vivere secondo natura, base e fondamento della sua etica. Platone considerava il piacere come un principio antimorale. Epicuro eleva invece il piacere a principio universale perché connaturato ad ogni essere vivente, posto che tutti gli uomini perseguono la felicità. In questa ottica – rivoluzionaria – il piacere diventa così il principio e il fine della vita. Tuttavia, con questa doverosa precisazione: il piacere di Epicuro non coincide, come invece sostengono i suoi pur numerosi detrattori, con il volgare edonismo, perché il piacere strutturato dal Maestro non è “dinamico” – ossia godimento dei sensi da inseguire per tutta la vita – ma piacere “statico”, pace dell’anima. Assenza di turbamento (atarassia) e assenza di dolore (aponia) che, nella prassi della vita, si risolve poi in un rigore quasi ascetico, visto che il piacere deve essere sempre dominato dalla ragione. Per raggiungere questo stato – insegna il Nostro filosofo – occorre tuttavia rimuovere tutti gli ostacoli che si incontrano nel vortice della esistenza. A questo fine è preordinato pertanto l’insegnamento filosofico che diventa così cura salutare e appropriata medicina. Quella di Epicuro non è dunque una filosofia teorica astratta. All’opposto, ha natura pratica e curativa. Pratica perché comporta attenzione e comportamenti quotidiani indispensabili per instaurare e mantenere una vita coerente. Curativa perché con la terapia indicata è possibile liberare l’uomo dalle preoccupazioni della vita. Il piacere e la felicità non sono allora un regalo della Dea Fortuna. Al contrario sono il risultato di un impegno costante e quotidiano, come direbbe Hadot, veri e propri “esercizi spirituali” necessari al conseguimento della serenità d’animo e alla conseguente felicità. La via da seguire è quella della eliminazione di tutti gli ostacoli che ingombrano e ostruiscono la strada. Via classica della sottrazione. In questo il filosofo del Giardino non fa altro che adeguarsi all’insegnamento tradizionale, comune a tutte le vie iniziatiche, compresa quella massonica che, con l’abbandono dei metalli, prima, e dei vizi, poi, rende piano il cammino latomistico. Del tutto originali sono invece l’individuazione e l’indicazione degli ostacoli presi in considerazione al dichiarato fine di rimuoverli. Innanzi tutto, secondo Epicuro, occorre aggredire i piaceri. Una rigorosa terapia filosofica non può che ammettere i soli piaceri naturali e necessari (ad esempio, quelli che tolgono la fame e la sete), con la eliminazione invece radicale dei piaceri né naturali né necessari, quali la fama e il potere, la ricchezza, in sintesi, quelli che Shakespeare chiamerà poi i “turpi sogni”, visto che questi ultimi piaceri, anziché raggiungere la aponia, fomentano il dolore. In via di eccezione sono ammessi i piaceri naturali, ma non strettamente necessari (ad esempio, i cibi raffinati). La scelta è decisiva e determinante perché condiziona il tipo di vita che si intende prescegliere, con la netta predilezione per un tipo di vita spartano. L’invito a condurre una vita frugale, così come è sempre stata quella vissuta da Epicuro, è poi un insegnamento straordinariamente attuale per chi, come noi, è afflitto dal meccanismo perverso di una moltiplicazione incessante dei desideri, spesso confusi con i diritti veri e propri. Attingendo a Epicuro, i più avveduti economisti moderni indicano in una scelta di vita che riduca i consumi al solo necessario la soluzione più idonea a ridurre il danno di una economia opulenta. Il Nostro filosofo mostra di credere nella esistenza degli dei in forza di un principio logico. Se esiste un più e un meno – così argomenta – deve esistere anche un massimo, qualcosa al quale nulla può essere superiore. Quanto alla loro potenza assoluta nutre invece qualche dubbio, stante la presenza del Male nel mondo. Nessun dubbio mostra poi sulla loro totale indifferenza nei confronti degli umani. Secondo il Nostro filosofo, la divinità non interferisce nelle umane vicende. Non agisce. Non si prodiga in alcuna opera. Ogni preghiera volta a placarne l’ira o a ottenerne il perdono altro non è allora che pura superstizione, terrore da rimuovere al pari del timore della sorte. Estirpata la religio, il cammino iniziatico diventa allora più lieve perché la cura si dimostra efficace. L’uomo, a differenza di qualsiasi altra creatura, è consapevole di dovere morire. Da qui la paura della morte che Epicuro cura con una terapia radicale fondata su di una argomentazione logica irrefutabile. La morte “è nulla per noi perché quando ci siamo noi, non c’è la morte, e quando c’è la morte, noi non ci siamo più”. La morte, di per sé, cessa allora di essere fonte di terrore. La filosofia professata assume così il valore di un farmaco perché scaccia la paura dell’evento oggettivamente considerato, senza, invece, negare il fatale inevitabile morire. La lettura delle pagine dedicate dal filosofo a questo tema, ancora una volta, assume poi un particolare significato nell’epoca nostra che, mentre si oppone alla “morte accettata” nel mondo di ieri come un evento naturale, elabora e persegue invece oggi la realizzazione in concreto di una immortalità tecnologica. La filosofia curativa di Epicuro ci consegna così una nuova idea di felicità che è purificazione interiore e riconquista della serenità, approdo dove “ogni tempesta dell’anima si dissolve”. Pienezza di vita che è contemplazione senza turbamenti dell’armonia del mondo: saggezza che può ottenersi soltanto dopo un lungo cammino compiuto in solitudine per potere diventare sé stessi. Il “vivi nascosto” di Epicuro non è infatti un invito a tenersi lontano dalle trappole dell’esistenza. Vivere un’esistenza appartata è invece una condizione indispensabile per potersi dedicare integralmente ad una comunità filosofica, quale appunto voleva essere il Giardino. Lungi dal voler essere un “tradimento” della politica – come interpretò il detto Cicerone – in quel vivere appartato noi ravvisiamo piuttosto l’audacia di un pensiero libero, la raccomandazione a vivere l’avventura della conoscenza. Un ideale di vita nobile che ci viene da lontano, ma, oggi, più che mai attuale e universale. Epicuro ha proceduto nel buio di una via in precedenza mai esplorata. Dietro di sé ha però lasciato schegge di luce che rischiarano il cammino di tutti, moderni compresi, solo che si abbia il coraggio di avventurarsi nel viaggio che conduce l’uomo verso le fonti della saggezza.