Il Cardinal Ravasi e i massoni: il dialogo tra Chiesa e Loggia non parte da zero

In poche settimane si sono susseguiti, intrecciandosi, intrecciati tre eventi che hanno riportato la Massoneria italiana al centro dei “media”. Il 26 gennaio 2016 si è svolto a San Remo l’incontro pubblico tra i Grandi Maestri della Gran Loggia d’Italia (GLdI), Antonio Binni, e del Grande Oriente d’Italia (GOdI), Stefano Bisi, con una presenza di pubblico ampiamente superiore alle previsioni. (1) Quindici giorni dopo, “Il Sole-24 Ore” ha pubblicato con rilievo l’articolo di Roberto Galullo, “La massoneria marcia verso la loggia unica”, con riferimento a presunti accordi tra il GOdI e la Gran Loggia Regolare d’Italia (GLRI), sotto il maglietto del dott. Fabio Venzi, in vista del riconoscimento del GOdI da parte della Gran Loggia Unita d’Inghilterra: “annuncio”  subito (quanto invano) smentito sia dal Gran Maestro Bisi, sia dall’avv. Giuseppe Bentivegna in qualità di legale rappresentante della GLRI con nota comparsa nel  “Sole-24 Ore” il 14 febbraio. Lo stesso giorno, nel supplemento domenicale il quotidiano della Confindustria, da anni silente sul tema, ha pubblicato “Cari fratelli massoni” del cardinale Gianfranco Ravasi (2).

Con l’autorevolezza della porpora e della vasta cultura, l’Autore prende spunto  dal libretto Dichiarazione circa le associazioni massoniche (23 novembre 1983) (3), ripercorre sinteticamente le scomuniche pontificie della Libera Muratoria e altri documenti cattolici poco irenici e approda alla equilibrata conclusione che le “varie dichiarazioni di incompatibilità tra le due appartenenze alla Chiesa e alla massoneria non impediscono, però, il dialogo come è esplicitamente affermato nel documento dei vescovi tedeschi che già allora (1980, NdA) elencavano ambiti specifici di confronto con la dimensione comunitaria, la beneficenza, la lotta al materialismo, la dignità umana, la conoscenza reciproca. Si deve inoltre superare l’atteggiamento di certi ambienti integralisti cattolici che – per colpire alcuni esponenti anche gerarchici della Chiesa a loro sgraditi –  ricorrevano all’arma dell’accusa apodittica di una loro appartenenza massonica. In conclusione, come scrivevano già i vescovi di Germania, bisogna andare oltre  ‘ostilità, oltraggi, pregiudizi’ reciproci, perché ‘rispetto ai secoli passati sono mutati il tono, il  livello, e il modo di manifestare le differenze’. Che pure continuano a permanere in modo netto”: aggiunta doverosa perché l’una (la Chiesa) è una religione, l’altra (la Massoneria) no. Sarebbe ingeneroso osservare che la pronuncia del cardinale parrebbe dettata anche dal fastidio per le reiterate insinuazioni di massonofagi su suoi contatti con “mondi” lontani dall’ortodossia.  Non solo. Chi amministra il sacramento della confessione ed è chiamato a “sciogliere” i peccati in terra è bene ne abbia cognizione  e conosca anche i più “lontani”e refrattari.

Come prevedibile, l’articolo del cardinale ha suscitato plausi negli uni e indignazione in altri, in specie, appunto, negli ambienti integralistici. La sua importanza è innegabile, non solo per metodo ma anche per merito, giacché suona molto diverso dal giudizio estemporaneo ma negativo espresso dal vescovo di Roma, Francesco, nei confronti delle “lobbies massoniche”, poi reiteratamente evocate da parlamentari e da giornalisti a proposito di vicissitudini rilevanti o meno della cronaca politica, anche con riferimento a scandali bancari e a supposte interferenze di “poteri forti”, interni ed esteri, sulla vita pubblica italiana: coro nel quale spiccò l’ “a solo” di Ferruccio de Bortoli che si spinse a denunciare l’ “odore stantio di massoneria” in (per lui) oscure manovre politiche apicali.

A cospetto del polverone di annunci, smentite, insinuazioni e controdichiarazioni, per fare “più luce” (come invocò morendo il massone Goethe) tre osservazioni s’impongono per collocare le apprezzate considerazioni del cardinal Ravasi in un contesto storico non rimpicciolito a cronaca spicciola.

Anzitutto, anche in Italia l’Inquisizione non imperversa più da tempo. Nei Paesi “occidentali” chi oggi entra in massoneria non rischia la tortura né la vita. Gli accadeva nei paradisi del socialismo reale (URSS e Stati vassalli, cari a tanti comunisti nostrani, incluso un ragioniere di Penne poi asceso a varie fortune) e capita ancora nei regimi fondamentalisti islamici, che, fermi al Medio Evo, vietano le logge sotto pene gravissime. Nei suoi ultimi anni Pio XII espresse ferme condanne della massoneria e persino del Rotary Club, intimando ai cattolici di uscirne. Ma quella di papa Pacelli era ormai una battaglia di retroguardia, destinata a essere rapidamente superata nell’età  (con tutti i suoi limiti, equivoci e ambiguità) di Giovanni XXIII, John Kennedy e Nikita Kruscev, sintetizzata nella formula del “dialogo”.

In secondo luogo, la maggior parte degli euro-americani coniuga sempre più tolleranza con indifferenza, tanto per le “porte sante” quanto per le statue erette tra fine Ottocento e inizio Novecento a ricordo degli eretici suppliziati (Arnaldo da Brescia, fra’ Dolcino, Giordano Bruno…). Siamo dunque in pieno clima di “libera loggia in libero Stato”? Anche troppo, lamentano le Comunità massoniche legittime e regolari, perché, in assenza di una tutela giuridica del loro nome, chiunque può abusare di insegne quali Grande Oriente o Gran Loggia. Neppure su questo terreno, però, siamo all’anno zero, proprio perché l’informazione (cartacea o per internet, pur caotica e confusionaria) consente a chiunque davvero lo voglia di distinguere i “soggetti” storici da imitazioni scadenti e spesso truffaldine. Vero è, però, che in un Paese quale l’Italia, più devoto ai santi che al Dio uno e trino, le cappelle rurali sono più affollate delle cattedrali. Perciò pullulano le massonerie sedicenti e quelle “di frangia”, così denominate da Massimo Introvigne, (4) e bersagliate dal polemico Inimica vis di don Ennio Innocenti, esperto di neognosticismo (5).

Il ritardo della “cultura” si somma a quello della politica, cioè del legislatore, che si trincera dietro la propria incompetenza (giuridica, non solo dottrinaria) ad avallare l’albero genealogico delle diverse Obbedienze e, quindi, le tante rivendicazioni di legittimità e regolarità. Ne consegue che in Italia la massoneria è conosciuta (poco e male) ma non riconosciuta. Eppure proprio lo Stato, così cauto dinnanzi alle logge, ha stipulato e vara nuove “intese” con un ampio ventaglio di “religioni”, senza entrare nel merito delle loro “verità” e/o “promesse” per l’al di qua e ancor meno per l’al di là. La Repubblica si limita ad accertare i requisiti amministrativi di chiese e confessioni religiose a cospetto delle leggi ordinarie, senza esprimersi sui loro fondamenti teologici, dottrinari, catechistici né sui loro riti. Altrettanto potrebbe quindi fare con le Comunità massoniche, mettendole al riparo da ardimentose inchieste giudiziarie, da sospetti di chissà quali pratiche orrorose e dalla ricorrente tentazione di alcuni magistrati di pretendere la lista degli affiliati, fatalmente destinata a finire in pasto al pubblico, come è ricorrentemente accaduto (e non solo ai tempi di  Agostino Cordova). Secondo alcuni lo Stato dovrebbe far propria la legge sulle Associazioni emanata in Francia nel remoto 1901, tanto più che la massoneria non è né una religione né un partito, ma un Ordine iniziatico: non insidia né pretende; chiede solo la libertà di essere sé stessa come è da tre secoli. Il passo va compiuto anche perché alcuni partiti presenti in Parlamento vietano, senza argomenti plausibili, ai propri iscritti di associarsi a logge massoniche, così introducendo un vulnus che investe l’intera società e i fondamenti della democrazia. Orbene, per l’articolo 49 della Costituzione i cittadini “hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”: ma chi ne accerta la democraticità interna? Perché mai partiti che adottano regole illiberali al proprio interno ottengono finanziamenti dallo Stato, cioè dai cittadini? Da 70 anni questa è una domanda senza risposta. Sono i pubblici poteri stessi a lasciare che circolino e dominino pregiudizi deplorevoli e volgari. L’ha messo a nudo la ministra per le riforme, Maria Elena Boschi, che nel corso di un dibattito parlamentare si è ritenuta libera di sibilare “Massone lo dice a sua sorella” a chi insinuava un’influenza liberomuratoria su fatti di cronaca, manco che, declassato a epiteto, “massone” possa suonare come insulto nel Paese che alle logge ha dato Vittorio Alfieri e Giuseppe Garibaldi, Giosue Carducci ed Enrico Fermi, fior di politici, generali e il padre della Costituzione, Meuccio Ruini (6).

L’immobilismo normativo è alla radice del (finto?) scalpore suscitato dal cardinale Ravasi. Sessant’anni orsono in Francia, che sul piano delle libertà è sempre di decenni più avanti dell’Italia, molti ecclesiastici dicevano altrettanto, anzi di più di quanto  egli abbia ora concesso. Nel 1961 per un pubblico confronto sulla compatibilità tra chiesa cattolica e massoneria il gesuita Michel Riquet fu accolto in una loggia a Parigi “a maglietti battenti”, onore riservato solo ai grandi dignitari dell’Ordine, presente il giurista cattolico Alec Mellor, non iniziato ma autore del celebre I massoni, nostri fratelli separati. Era la vigilia del Concilio Ecumenico Vaticano I, al quale il messicano Mendez Arceo, vescovo di Cuernavaca, propose l’abolizione della scomunica dei massoni “latae sententiae”, cioè senza accertamento della loro posizione personale, una sorta di “esecuzione sommaria” senza istruzione processuale, per puro pregiudizio.

Dunque non si parte da zero. Nel suo importante articolo-appello il cardinal Ravasi non ne fa menzione, eppure nel lontano 19 luglio 1974 il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Ferenc Seper, scrisse al pari grado John Joseph Krol, presidente della conferenza episcopale degli USA, che ormai si poteva “insegnare e applicare l’opinione di quegli autori” secondo i quali la scomunica colpisce “soltanto i cattolici iscritti ad associazioni che veramente cospirano contro la Chiesa”: cosa che di rado i massoni hanno fatto, sia perché per statuto non si occupano di religione né di partiti, sia perché semmai (come molti cattolici, del resto) avversarono il potere temporale dei papi, non la chiesa in quanto tale. Il “documento” del cardinale Seper costituì “un punto di arrivo dopo un lungo lavoro periferico e assolutamente informale di chiarificazione, di contatti, di migliore conoscenza – dall’una e dall’altra parte – della genuina impostazione originaria della massoneria speculativa moderna”. A scrivere parole così pacate e solenni fu il gesuita Giovanni Caprile per l’Enciclopedia italiana. Era il 1978. Quasi quarant’anni orsono. Con il paolino Rosario F. Esposito e il salesiano don Vincenzo Miano, padre Caprile dialogò ripetutamente con una delegazione di massoni del grande Oriente, formata da un ebreo (Pellegrino Ascarelli), un valdese (Augusto Comba, storico insigne) e Giordano Gamberini, già vescovo della chiesa gnostica, per nove anni Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia e traduttore del Vangelo di San Giovanni per la “Bibbia Concordata”: uno spiritualista che soleva farmi notare quanto siano rare in Italia le chiese dedicate allo Spirito Santo.

Dunque, per riflettere sull’invito del cardinal Ravasi al dialogo tra Chiesa e Massoneria non si parte dalla scomunica fulminata da Clemente XII nel 1738, dalla pena di morte decretata l’anno seguente dal cardinale Ercole Firrao ai danni dei massoni, né dalle condanne ribadite da Pio IX o Leone XIII, come la “Humanum genus” ripubblicata da Guglielmo Adilardi per l’editore Pontecorboli.

La Dichiarazione voluta il 23 novembre 1983 da Joseph Ratzinger non cancellò il passo compiuto dal suo predecessore, Seper, né reinserì nominativamente la massoneria tre le associazioni “scomunicate” dal codice di diritto canonico che riformò quello varato nel 1917 da Benedetto XV, in piena guerra mondiale e mentre la Russia, preda della rivoluzione, precipitava sotto il tallone dei bolscevichi che decretarono l’incompatibilità fra la Terza internazionale comunista e le logge.

Dai tempi di padre Riquet il mondo ha camminato in fretta, ma qualcuno (soprattutto in Italia) è rimasto fermo ai pregiudizi del passato remoto. Bene ha fatto, quindi, il cardinal Ravasi a rimettere in moto le lancette: queste, tuttavia, debbono ripartire non dallo scontro ottocentesco tra clericali e anticlericali né dalle dispute pro o contro il monumento di Giordano Bruno in Campo dei Fiori, “ove il rogo arse” (difeso da Mussolini dopo i Patti Lateranensi, quando alcuni fanatici ne chiedevano la rimozione) (7), bensì dalla pronunzia del prefetto Seper: e ciò, per non disperdere come foglie secche quarant’anni di dialoghi, di approfondita reciproca conoscenza e di quotidiano esercizio di tolleranza e di pazienza operato da studiosi come il gesuita José A. Ferrer Benimeli, da tanti ecclesiastici di varie confessioni cristiane, sulla traccia dell’ incontro di Aquisgrana tra p. Gruber e il massone Lennhoff (giugno 1928), concordi nel fare argine contro il materialismo di Stalin e il nazismo in ascesa, da don Franco Molinari, assistente all’Università Cattolica e rimpianto autore di La Massoneria, cattedrale laica della fraternità (1981) e, tra altri, da Paul Pistre, sempre generoso direttore della “Lettre aux Catholiques amis des Maçons” (Tolosa). (8).

Aldo A. Mola

NOTE

  1. Oltre settecento persone. Nell’occasione è stato diffuso il Quaderno dei Martedì Letterari del Casinò di Sanremo, Ideali e uomini della Massoneria per la Costituzione a cura di Marzia Taruffi, per memoria dell’incontro dei Grandi Maestri il 26 gennaio 2016 (ed. De Ferrari, Genova, ora in 2^ edizione riveduta e corretta).
  2. Rileviamo che, come di consueto, il cardinale si firma semplicemente “Gianfranco Ravasi”. In questa sede non entriamo nel merito degli articoli comparsi a commento dell’asserito preludio al re-riconoscimento del GOdI da parte della GLU d’Inghilterra e di quanto al riguardo ha asserito Giuliano Di Bernardo nell’intervista rilasciata a “Libero” (22 febbraio 2016), ove l’ex gran maestro chiama a conforto di proprie curiose asserzioni l’impossibile testimonianza di alcuni estinti, così come gli lasciamo la responsabilità dei giudizi su Fabio Venzi, sul Grande Oriente, etc.
  3. In fronte reca Congregazione per la Dottrina della Fede. In frontespizio. Testo e commenti , Prefazione di S.E. Mons. Kuis F, Ladaria S.I., Introduzione di S.Em. Card. Giancarlo L. Muller (2015).
  4. Introvigne ha curato  il fascicolo A trent’anni dalla “Dichioarazione  sulal nassoneria” , fascicolo di “Cristianità”, a. XLI, ottobre-dicembre 2013.
  5. Roma, Sacra Fraternitatis augigarum Urbis, 2015, Terza  ed.
  6. Per un profilo di Meuccio Ruini massone e presidente della Commissione dei Settantacinque, che approntò la bozza della Costituzione repubblicana  rinviano al citato Quaderno dei Martedì Letterari del Casinò di San Remo, comprendente un dotto commento di Tito L. Rizzo.
  7. Una ricca rassegna dei documenti pontifici antimassonici in Gran Loggia d’Italia, Inimica vis. La sindrome antimassonica in tre secoli di scritti e testimonianze antimassoneria  a cura di Annalisa Santini e Serena  Guidi, intr. Di Luigi Pruneti, Bari, Giuseppe Laterza, 2010.
  8. Rue du  Docteur Bernardbeig 7, 31100 Toulouse (Francia),