La Muratoria delle origini e l’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze

«E il Re e tutti i Signori garantirono ciò. Ed essi portarono i loro figli a Euclide perché li dirigesse a suo piacimento ed egli insegnò loro quell’Arte, la Massoneria, e le diede il nome di Geometria, a causa della divisione del terreno che aveva insegnato alle persone al tempo della costruzione delle mura e dei fossati, e Isidoro dice, nelle Etymologiae, che Euclide la chiamò Geometria. Ed egli diede loro il compito di chiamarsi l’un l’altro Compagno e non altrimenti, perché appartenevano a un’Arte ed erano di sangue nobile e figli di Signori»

Mi accingo ad affrontare un tema complesso, quello della Muratoria delle origini, vedremo poi circoscritto esattamente a cosa e quando, partendo da un testo molto importante, direi basilare: il Manoscritto di Cooke.
Questo fu redatto in inglese antico nel primo trentennio del XV secolo e tradotto per la prima volta in italiano nel 1989. Probabilmente ancora in uso presso le Crafts inglesi del XVI secolo, contiene una parte normativa divisa in nove articoli e nove punti preceduta da una narrazione mitica delle origini della Massoneria, struttura che servì da canovaccio al pastore Anderson per le sue Costituzioni del 1723.

Tale narrazione è dunque incentrata sulla geometria, «origine di tutte le arti liberali»; la trasmissione delle arti liberali nel tempo affonda quindi le sue origini nel Quattrocento, ed è stata riscritta al principio del Cinquecento, essenzialmente per due motivi. In primis, ancorare l’Ars aedificandi alle arti liberali e specificatamente alla geometria consentiva di emanciparla dalle arti minoritarie, meccaniche o servili, processo che inizia proprio nei primi anni del XV secolo grazie agli artisti italiani. Tale aspirazione relativa all’architettura è ciò che l’autore del manoscritto manifesta attraverso la citazione di fonti antiche e autorevoli.
Il secondo motivo è la necessità di ribadire che il sapere delle origini non si è interrotto con il diluvio; quindi il mestiere (notiamo che la derivazione dall’etimo ministerium ha una interessante assonanza con mysterium), la sua tradizione e trasmissione, sono integri, senza soluzione di continuità. Questo al fine di potervi mantenere un’aura di sacralità, anteponendo le origini delle arti liberali alla confusione delle lingue avvenuta con la torre di Babele.
Nel manoscritto di Cooke affiora il tema delle due colonne, che i discendenti d’Adamo eressero temendo che l’ira di Dio cancellasse con un cataclisma la razza umana e la sapienza originaria. La principale fonte di questa leggenda è Giuseppe Flavio, che nelle sue Antichità giudaiche racconta dei figli di Seth.
Benché in Cooke siano, tuttavia, gli eredi di Caino, e non di Seth, a erigere le due colonne, così come a ritrovarle furono Ermete e Pitagora, notiamo che tuttavia l’Egitto gioca un ruolo fondamentale nella trasmissione della scienza muratoria in quanto l’autore del manoscritto così afferma: «In tale modo la suddetta Arte, iniziata in Terra d’Egitto, si propagò di Terra in Terra, di Regno in Regno».
Il tema delle due colonne della sapienza verrà ripreso da Anderson, ulteriore segnale che il manoscritto di Cooke fu il canovaccio del pastore.
Poco prima del manoscritto di Cooke, però, fu redatto il Regius Manuscript, che è del 1390. Anche in esso si identifica l’Egitto come patria d’origine e si ritiene Euclide primo maestro, inoltre si racconta l’origine mitica della Massoneria come Geometria, arte e scienza applicata alla muratoria. L’opera è scritta in versi, e l’appendice, intitolata Ars quatuor coronatorum, oltre a quanto detto prima e alla definizione delle regole di condotta dei liberi muratori, racconta il mito dei “Santi Quattro Coronati” ripreso dalla Legenda Aurea, una raccolta medievale di biografie agiografiche composta in latino da Jacopo da Varazze, un riferimento indispensabile per interpretare la simbologia e l’iconografia religiose.
Legata all’immaginario biblico è, inoltre, la figura di Hiram. Nella bibliografia contemporanea si sostiene che i gradi massonici fossero inizialmente due, l’apprendista e il compagno, mentre il termine maestro servisse ad indicare il fratello incaricato di presiedere la seduta dell’Ordine. Si sostiene inoltre che tale termine subisca, con l’immissione della leggenda di Hiram, un processo di tipizzazione tale che l’introduzione degli Alti Gradi avvenuta con le costituzioni del 1762 per i 25 gradi del Rito di Perfezione, e l’introduzione dei 33 gradi del Rito Scozzese Antico ed Accettato nel 1801, non scalfiranno in alcun modo.


Le documentazioni in mio possesso, però, relative all’Opera del Duomo di Firenze, ci raccontano anche qualcosa di diverso…
Non mi soffermerò sulle differenti versioni relative al mito dell’architetto del tempio, non essendo questo il tema della mia trattazione in questo luogo, né sul dibattito fra le massonerie inglesi e scozzesi in merito alle interpretazioni riguardanti la cosiddetta Mason Word, cioè se la lettera “G” significhi God o un termine di sostituzione il cui significato l’iniziato debba scoprire lungo il suo cammino. Nella mia opinione, la lettura del Manoscritto Regio e di quello di Cooke danno una risposta chiara ed esaustiva in merito.
L’ingresso di nuovi soggetti in seno all’Ordine muratorio, provenienti per la maggior parte dall’emergente ceto intellettuale ed iniziati grazie alla pratica dell’accettazione, fu, insieme al declino dell’ordinamento corporativo e delle confraternite di mestiere, la ragione del mutamento di indirizzo di un concetto di Massoneria ormai in crisi, che lentamente si trasformò anche in speculativa, grazie all’introduzione di tematiche appartenenti alla cultura ermetica, alchemica e qabbalistica, dilaganti in Europa già dal XV secolo.


Con la nascita della Grande Loggia di Londra, evento spartiacque della storia massonica, la Massoneria inizia ad assumere una fisionomia del tutto nuova: mantiene i legami con la religiosità, attitudine caratterizzante dell’epoca operativa, che tuttavia, a causa degli sconvolgimenti religiosi avvenuti nell’Europa dal XVI al XVII secolo, inizia ad assumere un peso inferiore all’interno delle logge, e accoglie elementi provenienti dal ceto intellettuale, cosa che portò le logge ad essere non più preminentemente un “centro spirituale”, ma a trasformarsi in microrganismi politici della società civile.
Tutto questo comporterà un cambiamento radicale in una realtà che, sorta come confraternita di mestiere e basata su una tradizione iniziatica, si avvierà verso un nuovo tipo di organizzazione in cui elementi un tempo considerati “profani” pongono nuovi interessi e valori.
Ma siamo così certi che questo processo, realizzato e compiuto definitivamente in tal guisa nell’Inghilterra del XVIII secolo, sia l’unico possibile, senza tener conto di fenomeni di tal genere evolutisi assai prima in Italia?
Facciamo dunque un passo indietro, e torniamo al periodo fra il V e l’XII secolo.
I documenti scritti reperiti sono piuttosto rari, soprattutto quelli sulle confraternite di mestiere, che furono straordinariamente importanti nella vita, nella storia e nell’arte dell’Europa medievale; si ha comunque notizia di comunità celtiche strutturate come una sorta di monaci-muratori, si sa che gli ordini cavallereschi o monastici intrapresero la costruzione di chiese, monasteri, castelli.
Insieme ai Magistri Comacini, il VI-VII secolo d.C. vede anche il sorgere della comunità benedettina, in cui il monaco concilia lavoro e preghiera e costruisce edifici sacri accanto ai refettori ed ai laboratori.


Nell’Editto di Re Rotari, del 643, si fa un chiaro riferimento ad una società di muratori, provenienti dal territorio di Como, i Comacini, appunto, (esulando dalle interpretazioni fantasiose che molti storici hanno dato del loro nome), esercenti l’arte del costruire, e anche nel 713, nell’Editto di Re Liutprando, nella cui appendice vi è il famoso Memoratorio, ove si parla delle spese, delle tariffe, persino dello stile Romano e Gallico utilizzato da questa società di Maestri Comacini.
Le confraternite non erano semplici corporazioni in quanto, oltre a riunire chi esercitava un’arte, trasmettevano anche insegnamenti etici e spirituali. Era inoltre luogo di riconoscimento sociale e culturale, con proprie norme e gerarchie. I segreti edificatori erano noti solo a coloro che vi appartenevano. Esisteva dunque una sorta di “aristocrazia” dell’arte di edificare per cui in ogni cantiere di cattedrale c’era qualche decina di Maestri muratori, mentre il resto era rappresentato da altro tipo di prestatori d’opera. Erano ammesse anche le vedove dei maestri, in quanto eredi dei loro diritti. Nel Poema Regius, addirittura, si fa chiaramente riferimento alla presenza femminile: «…E così ciascuno insegnava all’altro e si amavano come Fratello e Sorella…»
Essi si riunivano in umili baracche attigue al cantiere, chiamate logge, che troviamo talvolta raffigurate nelle miniature medievali, appoggiate al muro del cantiere, e qui tagliapietre, scultori, scalpellini, si riunivano per ascoltare le parole del Maestro e le sue direttive, dove si giurava di rispettare i segreti del mestiere, gli obblighi e le regole, si apprendevano le parole e i segni per riconoscersi tra muratori anche durante le loro migrazioni da una loggia all’altra. Luogo di origine e culla dei Maestri Comacini e delle loro associazioni di Liberi Muratori fu la Lombardia, dove troviamo per la prima volta, in un atto notarile del 918, scritta la parola “Massonica” e cioè: Petelpertus de Graveduna vende a Alloni una “casa Maconica”.
Dalla Lombardia si espansero in Inghilterra, in Scozia, a San Pietroburgo e a Costantinopoli, furono il nucleo originario delle “Logge Frammassoniche”, composte sul principio da soli Maestri Architetti, Costruttori e loro “colleganti”.


In questo contesto, di cui tanti hanno scritto, senza, spesso, entrare in contatto con le fonti originarie, ecco che si inserisce il mio lavoro di ricerca, iniziato quasi per caso, imbattendomi nella digitalizzazione e trascrizione dei documenti dell’Opera del Duomo, cioè quelli conservati a Firenze presso la Fondazione, legati alla costruzione della nostra cattedrale fiorentina, i cui lavori sono iniziati nel 1296 e terminati dal punto di vista strutturale nel 1436.
Le fonti reperite, di una vastità impressionante e conservate in modo ineccepibile, partono dal 1416 e procedono fino alla fine dei lavori. Da queste emerge un contesto in parte assai diverso da quello che siamo abituati a sentirci propinare da anni e anni a causa dei testi in circolazione e della loro elaborazione. La prima cosa di cui mi sono resa conto, in totale contrasto con la reiterata convinzione che le leggi scritte in proposito fossero all’epoca quasi nulle, è stata la consistenza del corpus normativo correlato alle attività di ogni singola persona che avesse a che fare a vario titolo con l’Opera del Duomo.
Tutto era regolato, dai salari alla spesa, per fare un esempio, stabilita per l’acquisto dei guanti bianchi in capretto per gli operai che avevano ottenuto il privilegio di essere scelti come accompagnatori per le processioni che si svolgevano in occasione di festività religiose. E ancora erano normate le punizioni per i manovali svogliati, e per quelli che si allontanavano senza permesso. Poteva infatti capitare che qualcuno facesse il furbo, e lavorasse contemporaneamente in due cantieri, cosa vietatissima senza la licenza di prestazione d’opera in altro loco.
Financo le spese per il vino di cui si poteva ogni tanto gratificare i lavoratori, con cautela, in quanto esso era vietato, o per qualche cibo più prelibato, erano stanziate, approvate, registrate e comunicate ufficialmente.
Accadeva anche che qualche prestatore d’opera si macchiasse di delitti, in questo comprendendo le percosse conseguenti a qualche rissa, ed ecco pronta la sanzione, immediatamente trascritta e comunicata alla comunità.


Sì, una grande comunità regolata come un orologio, dove niente era lasciato al caso. Vi è però, almeno nel caso fiorentino e sicuramente toscano, un primo particolare che colpisce: i muratori non solo facevano parte dell’Arte degli scalpellini, tanto per citarne una, ma soprattutto e in maggior quantità dell’Arte della Lana. Questo ci fa riflettere sul fatto che l’appartenenza non era sempre legata al tipo di mestiere, ma anche alla zona in cui certe attività si svolgevano. Esisteva anche l’Arte dei Maestri, cui appartenevano maestri di cazzuola e di scalpello, come da Bando emesso il 17 Marzo 1417, valido fino al 1418.


L’introduzione e l’applicazione di una delibera per la realizzazione di un “Luogo per Operai” avverrà relativamente tardi nella fattispecie fiorentina: il 9 Dicembre 1432. Questo non significa che prima non esistesse un rifugio per i lavoratori, la cosiddetta loggia, ma in questo caso si identifica una costruzione vera e propria; il decreto si intitola infatti “Scelta del casolare degli Alessandri e prima dei Tedaldi come sede delle maestranze e degli ufficiali e autorizzazione a farvi l’udienza degli operai e il luogo del provveditore e del notaio”.
Qui è dove gli operai e i maestri scalpellatori dovranno ritirarsi dopo quella che viene definita la “clausura”, cioè il termine dell’orario di lavoro, in considerazione del fatto che molti di loro hanno la propria dimora lontana, o non l’hanno affatto! Dove Ser Brunelleschi parlava con loro, confrontandosi sulle decisioni da prendere.
Cito parte del testo:
«Dichiararo e diliberaro che ‘l chasolare che ll’Opera à in pengnio dagli Alesandri, che fu de’ Tedaldi, sia quello dove l’Opera e gli operai cho maestri, manovali, scharpelatori, proveditore, notaio e altri ministri sia quello s’aoperi; e che Batista e Filippo di ser Brunellescho posano in quello luogho fare udienza per gli operai e luogho di provedittore e notaio dove a lloro più piacerà.»
Facendo qualche passo indietro, esattamente al 5 Maggio 1419, ecco che spunta un lungo giuramento degli operai, relativo anche al rispetto della tempistica nello svolgimento dei lavori. Riporto qui il testo, in cui possiamo notare una cosa davvero interessante, che già avevo accennato precedentemente: gli operai sono spesso presi fra i virgulti della nobiltà cittadina. Era infatti questo non solo un onore di cui i nuovi nobili andavano orgogliosi, ma anche un compito non adatto a tutti.


La mansione di operaio non era squalificante, anzi presupponeva una certa dose di cultura e di consapevolezza nella propria attività, e quindi troviamo un Vecchietti, un Albizi, un de’ Minerbetti, e ancora Corsini, Sacchetti, tutti facenti parte dell’Arte della Lana.

«Prudentes et discreti viri
Iacobus Vannis de Vecchiettis
Pierus domini Zanobi de Mezola
Lucas domini Masi de Albizis et
Iohannes Andree Betti de Minerbettis
cives honorabiles et lanifices florentini operarii Operis Sancte Marie del Fiore maioris cathedralis
ecclesie florentine, una cum
Iohanne Mattei de Corsinis et
Forese Antonii de Sacchettis
eorum in dicto officio collegis licet tunc absentibus, insimul in dicto Opere et loco eorum solite audientie pro dictorum eorum officio exercendo more solito collegialiter adunati, dictis tamen Piero, Luca et Iohanne de novo intrantibus ad dictum officium primo et ante omnia iuratis ad sancta Dei evangelia scripturis corporali manu tactis ad delationem mei Laurentii Pauli notarii dicti Operis de dicto eorum officio bene, fideliter, legaliter et sollicite faciendo et exercendo et pecuniam dicti Operis conservando et ipsam non expendendo nisi si, prout, ubi et quando crediderunt fore utile pro dicto Opere et de dicto Opere nichil quomodolibet extrahendo directe vel indirecte in venditione, mutuo vel dono vel alio quoquo modo; et formam hedificii dicti Operis sequendo secundum formam modelli ad id designati et facti, positi et existentis iuxta campanile dicte ecclesie et alia quelibet faciendo que facere tenentur et debent secundum formam statutorum et ordinamentorum Communis Florentie et universitatis Artis Lane et dicti Operis sub pena in dictis ordinamentis contenta. Advertentes ad quandam locationem factam per eorum precessores in officio et seu per alium ex commissione dictorum eorum precessorum, licet verbotenus et per scriptam privatam, in certis magistris de faciendo et murando voltas sale maioris habituri Pape in Sancta Maria Novella pro soldis quinque f.p. pro quolibet bracchio omnibus suis expensis exceptis mattonibus sive mezanibus et calce; et ad quandam aliam locationem dicto modo et ut supra factam certis aliis magistris de intonicando dictam maiorem salam pro denariis quinque f.p. pro quolibet bracchio omnibus eorum expensis excepto solum calcem, omni modo etc. deliberaverunt etc. quod capomagister sive vice capomagister et provisor dicti Operis mensurent dictas voltas et dictum murum intonicatum et quod dictis magistris solvatur secundum dictas locationes etc….»


Il 1° Aprile 1418 viene citato anche un “Messer Cavaliere operaio”, nella persona di Rinaldo Gianfigliazzi, che sarà operaio in carica durante il semestre.
Sì, perché l’alternanza della prestazione d’opera aveva ritmi ed avvicendamenti ben precisi, squadre che lavoravano a periodi di quattro mesi alla volta oppure di sei. Nel caso di quattro, firmavano contratti, o meglio giuramenti e impegni, che li obbligavano a tornare nella stagione dell’anno successivo. Vi erano lavoratori estivi e lavoratori invernali, e, a vedere dai documenti, non vi erano differenze di stipendio fra le stagioni, che variavano, invece, secondo le mansioni e i gradi, fra i 10 e i 20 soldi giornalieri, con qualche picco inferiore forse destinato ai bambini, escludendo coloro che prestavano opera gratuitamente. Ogni lavoratore comunque è citato con nome e cognome, e non sono rari i casi in cui il salario conteneva anche frazioni, che venivano computate in denari. Esistevano libri accuratissimi, chiamati delle deliberazioni, che venivano tenuti dai Notai. Dal 1 Novembre 1416 al 31 Dicembre 1417, per esempio, vi fu preposto Lorenzo di Paolo di ser Guido Gigli, notaio dell’Opera.
Difficile esprimere l’emozione provata trovandosi di fronte, all’improvviso, alle delibere di pagamento a Donatello, definito in alcune di esse Operaio, per la realizzazione della statua di Abacuc e di altri personaggi. Egli ricevette complessivamente la cifra, sostanziosa, di 80 fiorini, da elargire in parte anche ai suoi collaboratori.


In un documento del 22 Ottobre 1418 l’intestazione recita: Salari per Maestri, Manovali e Ragazzi. In alcuni casi troviamo anche segnalati i pueri, ugualmente al lavoro. Mai, però, con la qualifica di Apprendisti. Da un quadro d’insieme emerge che la struttura di questa grande macchina era costituita dal Provveditore, Capomagister, Vice Capomastro, Maestro ( di cui esistevano molteplici specializzazioni), Operaio (nobile), Compagno, Manovale, Ragazzo e Puero. Tralasciando Camarlinghi, Notai, ecc…I Compagni vengono sempre identificati come “compagni di”, illuminandoci quindi sul fatto che tale qualifica era data in rapporto all’appartenenza ad una compagnia di qualche Maestro.


Più esattamente, i principali incarichi dell’Opera, uffici riservati agli iscritti dell’Arte della Lana, istituzione madre dell’Opera di Santa Maria del Fiore, erano appunto:

OPERAIO
Massimo incarico dell’Opera, non retribuito. Nel periodo degli Anni della Cupola, di regola, sei operai, estratti a sorte tra i qualificati allo scrutinio degli iscritti dell’Arte della Lana, si alternano per periodi di quattro mesi (4 entrano in carica nel gennaio di ogni anno, 2 in marzo, 4 in maggio, 2 in luglio, 4 in settembre, 2 in novembre). Essi costituiscono il corpo deliberante con autorità di determinare le scelte istituzionali, progettuali ed economiche dell’Opera. Le delibere e gli stanziamenti sono dettati dagli operai, e possono essere revocati solo con l’approvazione dei consoli dell’Arte della Lana. Tra gli operai veniva spesso tratto un Preposto dotato di poteri esecutivi nell’intervallo fra le riunioni degli Operai.

CAMARLINGO
Tesoriere dell’Opera, estratto a sorte tra i qualificati allo scrutinio degli iscritti dell’Arte della Lana. Svolge la propria attività retribuita per un periodo di 6 mesi, a partire dal 1 gennaio e dal 1 luglio di ogni anno. Tiene i libri contabili dell’Opera, incassa le spettanze ed effettua i pagamenti autorizzati dagli operai; è personalmente responsabile delle propria gestione finanziaria.

QUATTRO UFFICIALI DELLA CUPOLA
Ufficio istituito nel 1419 per affiancare lo schieramento ordinario degli operai nel seguire da vicino la costruzione della cupola; è costituito da quattro membri appositamente eletti dall’Arte della Lana per la durata di un anno, è variamente rinnovabile e non retribuito. Organo consultivo, non autorizzato a delibere o stanziamenti.

QUATTRO UFFICIALI DELLA SACRESTIA
Ufficio elettivo non retribuito dell’Arte della Lana, istituito per la prima volta nel 1413, ma stabilmente solo dal 1426, per difendere ed esercitare i diritti dell’Arte della Lana nella gestione de divinis in cattedrale. Dal 1427 furono riunite sotto di loro anche le funzioni degli ufficiali della cupola. Nelle fonti questi alti ufficiali compaiono spesso, seppure impropriamente, denominati Sagrestani.

UFFICIALI SOPRA L’ALTARE E SEPOLTURA DI SAN ZANOBI, GLI ORGANI, I PERGAMI E ALTRI LAVORI
Ufficio elettivo dell’Arte della Lana, non retribuito, di durata indeterminata istituito nel 1432 per sollecitare e gestire direttamente alcuni prestigiosi lavori all’interno della croce della chiesa in previsione della sua apertura al culto. Fu composto da tre ex-operai, tra cui Matteo di Simone Strozzi fino al suo allontanamento per via dell’esilio, che lo colpì nel 1434. Essi ebbero inizialmente autorità di distribuire fondi per i progetti loro affidati, ma la gestione non risultò efficace e l’ufficio fu soppresso nel 1437.


RAGIONIERI DELL’ARTE DELLA LANA
Ufficiali eletti dall’Arte tra i propri iscritti per rivedere le ragioni dei camarlinghi dell’Opera.

Incarichi elettivi accessibili agli esterni dell’Arte della Lana.

NOTAIO
Notaio dell’Opera eletto dall’Arte della Lana, normalmente per periodi annuali rinnovabili. L’incarico, retribuito, comprende la rogazione e redazione ufficiale in latino di tutti gli atti degli operai, quali le delibere e gli stanziamenti.

PROVVEDITORE
Ufficiale amministrativo salariato, eletto dall’Arte della Lana, con incarico di durata variabile e rinnovabile. Il provveditore segue i lavori e le forniture del cantiere e tiene per conto proprio copia degli stanziamenti e di altri atti, redatta in volgare.


CAPOMAESTRO
Incarico elettivo dell’Arte della Lana di capocantiere dell’Opera, salariato. Nel periodo precedente la costruzione della cupola esso comprendeva tradizionalmente un importante ruolo progettuale. Negli Anni della Cupola, invece, l’ufficio verrà denominato di Capomaestro dell’Opera per distinguerlo da quello degli architetti responsabili del progetto della cupola, Brunelleschi e Ghiberti, propriamente noti come Provveditori della Cupola. In questo periodo l’incarico, annuale e rinnovabile, è stabilmente ricoperto da Battista d’Antonio, che comparirà anche come Vice Capomaestro dell’Opera, quando lascerà l’incarico formale al figlio.

PROVVEDITORI DELLA CUPOLA
Per gli Anni della Cupola vi sono due provveditori responsabili del progetto e della realizzazione della cupola, Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti, eletti dall’Arte della Lana con incarico annuale rinnovabile fino alla fine del lavoro. L’ufficio è variamente retribuito nel corso degli anni.

SCRIVANO DELLE GIORNATE
Ufficiale eletto a seguire le presenze delle maestranze nel cantiere dell’Opera; incarico rinnovabile con retribuzione salariale.

MESSI ED ESATTORI
Ufficiali eletti dagli operai per servire il loro ufficio nelle commissioni e per le riscossioni delle spettanze in città e in contado. Ufficio di durata variabile e rinnovabile, variamente retribuito.

AVVOCATO DELL’OPERA
Ufficio straordinario per elezione diretta da parte dell’Opera al fine di tutelare i propri interessi in eventuali vertenze. La nomina è tipicamente annuale, retribuita con onorario.

NOTAIO DEI TESTAMENTI
Incarico elettivo da parte dell’Opera, saltuario e talvolta retribuito a provvigione anziché a salario, per la rilevazione e la riscossione dei diritti spettanti all’Opera sui testamenti.

RAGIONIERI
Ufficiali eletti dall’Opera per seguire i propri diritti presso gli uffici comunali, come le prestanze e le nuove gabelle, tenuti a contribuire alle finanze della cattedrale. Si tratta di incarichi retribuiti di durata normalmente limitata e saltuaria nel tempo.

Uffici elettivi dislocati rispetto alla gestione centrale dell’Opera

GUARDIA DELLA SELVA
Ufficio elettivo dell’Opera per tutelare i propri interessi nelle foreste del Casentino attribuitele dal Comune. Incarico salariato, rinnovabile, di durata variabile.

PROVVEDITORI DI CANTIERI ESTERNI
Sono varie e numerose le situazioni che hanno dato luogo all’elezione, da parte dell’Opera, di personale salariato con l’incarico di seguire sedi di lavori dislocate rispetto alla Cattedrale. Così si trovano provveditori abilitati alla cava di Trassinaia,

ai lavori dell’appartamento papale in Santa Maria Novella, alle fortificazioni in contado.

I Maestri erano veramente tanti, e ognuno si dedicava alla propria specialità. Poteva essere vetraio, addirittura musico, ma quelli che a noi più interessano sono lo scalpellino (o scalpellatore), il maestro di piccone, il maestro di cazzuola, quello per la lanterna.
A questo proposito, interessantissimo è un decreto del 1417 che nominava i maestri di piccone con relativo capomagister per la costruzione della strada che portasse alla Selva, i quali dovevano anche tenere il conto delle spese necessarie per inviare gli operai a prendere il legname di cui vi era necessità. Il bacino di approvvigionamento cui ci si riferisce erano i boschi casentinesi, mentre le pietre venivano ricavate nei pressi di Settignano dove, durante una passeggiata, ho trovato un cartello che indica la “Sentieristica degli Scalpellini”.
Sono repertoriate addirittura le spese per l’acquisto della pietra per il filo a piombo, quelle per i compassi con segno dell’Arte Lana , eseguito da Giovanni d’Antonio di Banco, intagliatore di pietre, ed il premio mensile di un fiorino per un Maestro, così come la paga di due mesi di uno Scalpellatore o l’importo dovuto all’Opera del Duomo di Firenze quale cauzione da parte dell’Abbazia di Passignano a causa di un loro manovale che evidentemente era stato catturato a Firenze, e ancora l’acquisto di capretti come dono agli Operai, il 6 Aprile 1417, molto probabilmente approssimandosi la Pasqua.


Curioso un documento del 16 Aprile 1417 che attesta la “Elezione del sollecitatore di maestranze lavoranti in alto. Francesco di Lorenzo, sarto sollecitatore dei maestri e manovali”; sì, perché non tutti lavoravano lassù, alla cupola…Bisognava avere qualità particolari, non ultima quella di non soffrire di vertigini, ma anche grandi capacità muratorie.
A questo proposito, quanti di noi hanno sempre creduto che Ser Filippo Brunelleschi si presentasse ai maestri muratori e mostrasse loro il progetto da eseguire senza discussioni? Errore madornale! Il 31 Agosto 1418, infatti, si provvede ad eleggere i maestri per controllare la fattibilità del modello di Brunelleschi. Sono in realtà due operai, Giovanni Tommaso de Corbinelli e Piero Filippi del Signore Leonardo degli Strozzi, ad eleggere i Maestri in questione:
«Item quod Iohannes et Pierus duo ex dictis operariis eligant magistros qui stent ad videndum laborium et modellum Filippi ser Brunelleschi et si fieri potest ut dicunt etc.»
Sappiamo quindi che Brunelleschi presentò il suo progetto e chiese alle maestranze se erano in grado di realizzarlo, sottintendendo con questo che se i Maestri Muratori avessero detto di no, no sarebbe stato. Ciò la dice lunga sull’autonomia e insindacabilità del loro giudizio, in quanto unici esperti ed esecutori.
Il 4 Febbraio 1425 viene emesso un «Ordine di seguire nell’avanzamento dei lavori della cupola il rapporto redatto da quattro esperti su commissione di tutti gli ufficiali responsabili», il cui testo, riportato per esteso, viene approvato, riservando piena balia agli operai e agli ufficiali della cupola, seguito dalla nomina di un Capomaestro Maestro Esperto, nella persona di Battista D’Antonio.


Interessante, a questo proposito, il ritrovamento di una piccola cupola durante gli scavi effettuati da Cooperativa Archeologia per l’ampliamento del museo dell’Opera del Duomo. Considerata la sorella minore della Cupola del Duomo di Santa Maria del Fiore, posizionata nell’area dell’ex Teatro degli Intrepidi, in seguito trasformato in un garage, potrebbe veramente essere il modello realizzato in miniatura per verificarne la fattibilità. In effetti è costruita con le creste e vele a coltello, trasversali, a distanza di circa un braccio fiorentino e realizzata con mattoni in scala a spina di pesce, la stessa tecnica usata nell’architettura della Cupola da Filippo Brunelleschi.
Gli scavi avrebbero inoltre portato alla luce, nell’area del cantiere della Cupola del Duomo (1420-1436), strutture databili tra il XIV e il XV secolo, riconducibili alle attività ivi svolte.


Concludo il mio studio con la considerazione che esiste un legame mai interrotto con il passato, una trasmissione che viene da molto lontano e che rappresenta, in un certo senso, il nostro vero “lignaggio”.
La continuità con la tradizione è ciò che oggi ci qualifica, e il mio auspicio è che ci dedichiamo maggiormente alla conoscenza di ciò che è avvenuto in Italia, culla di una evoluzione storica e umana che non ha riscontri altrettanto originali in altri paesi. Appartenere all’Arte Muratoria è dunque un filo rosso senza soluzione di continuità, che si perde nella notte dei tempi e che ci rende orgogliosi nel ricordo di coloro che tanto ci hanno lasciato, pur nella conservazione dei segreti necessari. Oggi il concetto di segreto non è più relativo alle tecniche costruttive, ma coinvolge piani più sottili certamente non meno importanti.
A tal proposito, vale sempre la pena di ricordare ciò che asseriva Giacomo Casanova nelle sue Memorie:
«Il segreto della Libera Muratoria è inviolabile per sua propria natura, perché il libero muratore che lo conosce, lo conosce soltanto per averlo indovinato. Egli non lo ha appreso da alcuno. L’ha scoperto a forza di frequentare la loggia, di osservare, di ragionare di dedurre».

BIBLIOGRAFIA:

  • Esistere o apparire – Pirodda, Collesano, Moio, Ghidoni Corpus documenti digitalizzati Opera del Duomo – Firenze
  • Da “operativa” a “speculativa”: origini ed evoluzione della Massoneria – L.C. Schiavone
  • I Maestri Comacini: precursori italici della Massoneria speculativa – G.N.