Ognuno troverà ciò che porta con sé

di Fabio Tardivello

Un racconto antico riporta la memoria di quando i viaggi erano compiuti a piedi o al più a dorso di animale. In quel tempo, i luoghi di ritrovo alle porte delle città erano centri di scambi culturali e momenti di sincerità, nei quali persone di tutte le estrazioni sociali e di tutte le religioni o filosofie si incrociavano e potevano, anzi dovevano interagire fra loro, a volte ultimo momento nel quale scambiarsi notizie, informazioni utili a chi arrivava e a chi partiva. Quando in queste zone neutre, poste per lo più sui crocicchi delle strade, s’incontravano viaggiatori solitari, gli osti, i gestori delle locande di scambio, che avevano anche spazi dedicati alla cura dei preziosi animali che erano caricati nei viaggi di ogni peso, ed erano puliti e curati prima dell’entrata nella città, ascoltavano racconti fantastici ed episodi di vita, grandi racconti o semplici diari di viaggio, saghe epocali e piccoli accadimenti familiari o personali. “C’era una volta” un vecchio che sostava in pianta stabile davanti all’entrata della stalla, nei pressi dell’osteria dalla bella insegna bianca e nera. I viaggiatori riposavano, mangiavano il poco che si trovava in quel luogo, si lavavano prima di entrare nella città, per meglio presentarsi ai possibili compratori dei loro servizi o delle loro merci. Il vecchio osservava con gli occhi socchiusi il via vai di quella gente indaffarata a presentarsi al meglio, che si toglieva di dosso l’abbruttimento dovuto al viaggio effettuato senza tante comodità, a volte per giorni, mesi, ma anche anni… Un giorno un giovane baldanzoso e scuro in volto, con modi bruschi e sgraziati, chiese al vecchio: “Com’è la cittadina nella quale stiamo per entrare? Come trovo il suo mercato? Accogliente? Le persone sono educate e civili? Hanno rispetto per i viandanti?” Il vecchio, osservando l’ombra lunga che partiva dai piedi del viaggiatore, rispose: “Ti farò, se me lo permetti nella tua grande gentilezza, una domanda, prima di risponderti, cortese ed amichevole giovane viaggiatore.” Ricevuto il consenso, il vecchio, bianco di barba e di abito, col copricapo di panno morbido di un bel colore rosso vivo, chiese al giovane piuttosto impettito: “Vedo dal colorito del tuo viso che hai viaggiato molto, avrai perciò tante esperienze dai vari paesi.” Il giovane inorgoglito annuì. “Come ti sei trovato” continuò il vecchio, “nella cittadina lontana dalla quale provieni? Com’era in quel luogo la popolazione?” Il giovane rispose: “Guarda vecchio, era una città poco ospitale, le persone arcigne e chiuse, non accettavano i nuovi viaggiatori e tantomeno i consigli dei nuovi mercanti, la lingua parlata era incomprensibile, anche per le cose più semplici si doveva fare ricorso al pagamento in moneta sonante… Prima di poter dire o chiedere, bisognava attendere il segno di uno degli interlocutori, era tutto tempo perso per gli affari, e le usanze erano tutte sbagliate. Ti dico, vecchio, visto che forse non ti sei mai mosso da questo piccolo insignificante punto geografico nel grande mondo degli scambi: molti, direi tutti i Paesi che ho girato avevano grandi difetti, non starò qui a perdere tempo, ma ti assicuro che è stata un’esperienza molto dura arrivare fino a qui…” “Mio giovane e cortese, ma sfortunato amico,” rispose il vecchio con aria dispiaciuta, “purtroppo devo dirti che anche qui sarà lo stesso. Purtroppo, ciò che incontrerai sarà la scortesia sbrigativa di affaristi senza scrupoli, che pensano che il tempo dell’animo dell’uomo sia sottratto al lavoro, anche qui quindi non riuscirai nella tua impresa, senza scontrarti con abitudini e regole, rituali e idee che loro chiamano tradizionali, ma lascerò a te giudicare, come ben sei avvezzo…” Questa scenetta si ripeté varie volte e il vecchio alla fine rispondeva sempre alla stessa maniera. Poi, un giovane dai modi gentili, nel suo vestire dimesso, quasi lacero, che aveva fatto certamente il viaggio a piedi, claudicando vistosamente, forse per un sasso preso sotto il piede durante il percorso infido che lo aveva portato fino a lì, si rivolse all’anziano con queste parole: “Gentilissimo e rispettabile maestro, mi dispiace disturbare la tua meditazione, ma la necessità mi spinge a questo gesto irriguardoso. Spero e confido che tu possa perdonarmi, ne sono convinto, dati i lineamenti del tuo luminoso volto, che hanno attirato la mia attenzione e mi hanno consentito di sentirmi “a casa”, dopo un lungo e pericoloso viaggio, nel quale spesso ho dovuto aggirarmi di notte nel deserto e per foreste, evitando trappole naturali e animali feroci, imboscate di briganti e ignoranza, la mia, così insita nel mio stato… Ho camminato fiducioso, perché la luce del giorno, e quella seppure lieve della notte, non mi ha mai abbandonato. Per mesi, anni, ho cercato un luogo nel quale non avere più freddo, ed ora che ti vedo, sono tranquillo che potrai aiutarmi a procedere al meglio per entrare in questa città dalla triplice cinta muraria, dove potrò continuare ad apprendere le istruzioni del mio Lavoro…” il vecchio saggio osservò il giovane, il sole disegnava un’ombra umida dai contorni del fienile e della stalla davanti alla quale stavano, soppesò le parole del giovane, e gli concesse con un gesto gentile del volto e della mano di fare la sua richiesta: il giovane chiese come fossero gli abitanti della città così grande e bella, cinta da alte mura, ma aperta ai viandanti, e se fosse accogliente come dimostravano le numerose carovane che si vedevano entrare ed uscire piene in entrata e vuote in uscita, come avessero fatto ottimi affari… Il vecchio rispose al solito modo, con la sua domanda. Il giovane, entusiasta del paese dal quale proveniva, ne magnificò i colori, la gentilezza degli abitanti, la generosità e la bellezza dei mercati… Anche questa volta il vecchio diede la sua solita risposta, ma con un sorriso: “Caro giovane, la via che hai intrapreso è in salita, ma coloro che hai incontrato nei villaggi e nel paese dal quale provieni, e di cui mi hai parlato nel tuo amabile racconto, sono come coloro che abitano il luogo nel quale stai per entrare, se non perdi la fiducia negli esseri del creato, figli del Grande Progetto…” Un uomo che osservava da tutto il giorno la scena, attendendo il suo turno per accudire il cavallo, si avvicinò e chiese al vecchio: “Saggio Maestro, permettimi una domanda: nella tua saggezza hai risposto all’ultimo giovane allo stesso modo di quanto hai detto ai suoi predecessori. Ben diversi erano i casi, com’è possibile che la risposta sia la medesima?” “Caro amico e silenzioso osservatore,” rispose il vecchio, “devi sapere che ho imparato nella mia vita di studio, lavoro e meditazione che il segreto della ricerca è che ognuno vi troverà ciò che porta con sé.”