Platone e il mito della caverna

di Giancarlo Guerreri

Il Mito della Caverna, presentato da Platone nel “Repubblica”, affronta la questione riguardante la natura delle informazioni ricevute dai cinque sensi. Queste informazioni nel nostro cervello si traducono in impulsi elettrici, che sono esterni alla realtà in sé, anzi possono trasformarsi a nostro piacimento in vettori di menzogna o di realtà altre.
Descrizione del Mito della Caverna
In una caverna sono rinchiusi fin dall’infanzia alcuni uomini. Sono legati con catene che impediscono loro di voltarsi verso l’apertura della grotta, costringendoli a fissare la parete di roccia che si trova di fronte a loro. Dietro gli uomini una parete nasconde una strada sopraelevata, lungo la quale passano altri individui che trasportano sulle spalle statue e oggetti vari, che sporgono di poco oltre il muro. Tra la strada e l’uscita della grotta è acceso un grande fuoco, la cui luce, illuminando gli oggetti trasportati, crea ombre gigantesche sul fondo della grotta, che possono essere percepite come oggetti reali dagli uomini incatenati. I prigionieri sono da sempre abituati ad osservare le ombre che sfilano lungo la parete di fronte a loro, quindi non potranno neppure immaginare che ciò che essi vedono non sia l’autentica rappresentazione della realtà. Il mito racconta che uno di questi uomini viene liberato. Incredulo si alza e voltandosi verso l’uscita vede per la prima volta la luce che proviene dall’esterno. E’ una luce troppo forte, offende la sua vista e lo rende quasi cieco, incapace di vedere gli oggetti che generano le ombre a lui più famigliari. Lentamente inizia a riconoscere qualche forma, qualche immagine, tuttavia fa molta fatica ad accettare per veri quegli oggetti, essendo abituato da sempre a considerare vere le loro ombre. Successivamente l’uomo viene trascinato a forza fuori dalla grotta, immerso nella luce accecante del Sole. La luce solare rappresenta la Vera Luce, la luce filosofica della Verità che risulta ancora intollerabile alla sua vista impreparata, ma un po’ alla volta l’uomo inizia a guardare le ombre degli esseri che gli si trovano vicini, vede il loro riflesso nelle acque tremolanti di uno stagno e inizia a comprendere la realtà. Di notte gli appaiono le stelle e la Luna, e nell’oscurità riconosce altre forme. E’ iniziato un lungo processo di apprendimento che, dopo qualche tempo, porterà quell’uomo a percepire la luce del Sole, che riuscirà persino ad osservare per qualche istante senza provare dolore. Un violento cambiamento, una mutazione fisica e psicologica, ha trasformato uno schiavo incatenato al fondo di una caverna in un uomo nuovo, che ha compreso la verità sull’origine di tutte le cose e ha dedotto che proprio quel Sole, che un tempo lo abbagliava, è la causa determinante di ogni cosa: delle stagioni, della vita stessa e persino delle ombre che lui vedeva al fondo della caverna. Quest’uomo, cambiato nel profondo, ricorda i suoi compagni legati dalle catene e prova il desiderio di tornare da loro per condividere le proprie scoperte. E così torna nella caverna e si siede nuovamente al posto che gli competeva, rivolgendo lo sguardo al fondo della spelonca. I suoi compagni lo accolgono con visibile sconcerto, nessuno crede a ciò che racconta e nessuno si sogna di ripetere la sua esperienza: di fatto quell’uomo tornato nella caverna è diventato ai loro occhi completamente pazzo, tanto che in seguito i suoi compagni finiranno per ucciderlo.
Considerazioni sul mito
Un mito come quello della Caverna di Platone si presta a moltissimi spunti interpretativi. E’ possibile scorgervi la figura del profeta, dell’illuminato, del ricercatore o dell’uomo di scienza. Potremo immaginare la solitudine del grande filosofo che percepisce una Verità altra, difficilmente condivisibile. Gli uomini comuni percepiscono false immagini, quelle che la cultura orientale definisce come il Mondo di Maya, ovvero il Mondo delle illusioni. L’espressione “Velo di Maya” è stata coniata da Arthur Schopenhauer nella sua opera “Il mondo come volontà e rappresentazione”, dove sostiene che la vita sia un sogno, e che “sognare” sia un atteggiamento innato nell’uomo. La verità che noi percepiamo sarebbe la verità di questo sogno. Egli aggiunge poi che la Realtà e il sogno sarebbero separati da un velo sottile, che impedirebbe la possibilità di ottenere “moksha”, la liberazione spirituale. L’uomo, al pari degli schiavi della caverna di Platone, sarebbe imprigionato nel “Samsara”, ovvero nel continuo ciclo delle morti e delle rinascite. Egli è presentato fin dalla nascita con gli occhi coperti da un velo: solo se la sua anima se ne libererà potrà uscire dall’ignoranza metafisica, “avidya”, e finalmente contemplare la realtà delle cose. Il buio della caverna è la notte dell’anima, l’oscuro fondale sul quale si proiettano i desideri, i fantasmi e le illusioni.
Il mito e la Massoneria
Un’altra lettura del mito, vicina alla simbologia massonica, prende in considerazione il Gabinetto di Riflessione, il luogo che rappresenta l’Elemento Terra, dove inizia la cerimonia che condurrà il profano alla Vera Luce. Applicando a questo luogo oscuro il concetto di caverna platonica si potrebbe supporre che fra i tanti profani che vi sono passati solo pochi abbiano compreso il significato dei simboli e delle frasi che vi si incontrano. Sono coloro che hanno inteso correttamente il significato sacro del V.I.T.R.I.O.L. e perciò verranno presi in custodia dal Maestro Esperto Preparatore per proseguire nel Rituale d’Iniziazione. Essi hanno meditato a lungo nel buio della caverna (Visita interiora terrae), hanno compiuto una metamorfosi interiore (rectificando), scoprendo che ciò che sembra vero potrebbe essere solo illusione e che esiste una Vera Luce (occultum lapidem) in grado di illuminare la Realtà, in senso metafisico. Hanno letto e ben compreso il significato del Gallo e dell’indicazione che lo accompagna: “Se tu perseveri … vedrai la Luce”. Nel mito l’uomo, costretto ad uscire dalla caverna, viene immerso in una brezza che lo avvolge purificandolo; questo passaggio equivale al primo viaggio del recipiendario, che si conclude nell’incontro con l’Elemento Aria. Lo sguardo che durante la notte l’uomo dirige verso la Luna, simbolo femminile dell’Acqua Mercuriale, corrisponde al secondo viaggio che culmina con la purificazione attraverso l’Elemento Acqua. La percezione della luce solare richiama quindi il terzo viaggio dell’iniziando, relativo alla purificazione con l’Elemento Fuoco, che rappresenta la conclusione del processo d’Iniziazione. Platone non spiega perché l’uomo senta la necessità di rientrare nella caverna; in effetti non vi sarebbe alcuna logica ragione per giustificare una scelta così improbabile. Tuttavia nell’ottica latomistica è facile comprendere come un vero iniziato, un uomo che diviene Uomo, senta come proprio dovere morale la necessità di condividere con gli altri uomini rimasti nella caverna ciò che ha animicamente inteso.
Il ritorno nella Caverna
L’ultima fase del mito parla dell’Uomo che, rientrato nella caverna, riprende il proprio posto accanto ai suoi compagni. Egli racconta loro la propria esperienza ma suscita solo incredulità e ilarità; Platone ipotizza addirittura che potrebbe essere ucciso dai suoi stessi ignoranti compagni. La Verità non è per tutti, come non lo erano le perle descritte nel Vangelo di Matteo, che Gesù ordinò di non gettare ai porci: “nolite dare sanctum canibus, neque mittatis margaritas vestras ante porcos”. Vi sono vari gradi di maturità animica che ci rendono diversi, collocati su altrettanti gradini di una scala di consapevolezza. Il vero Iniziato vede il mondo con occhi diversi e prova sconforto e frustrazione nel non riuscire a condividere con tutti gli altri questa sua nuova prospettiva. Per meglio esprimere questo concetto dovremmo rifarci a quella che i teutonici definiscono col termine di Weltanschauung e che in italiano potremmo definire come “Visione del Mondo”. Carl Gustav Jung ha utilizzato questo termine per descrivere la profonda trasformazione degli individui che possono giungere a guarigione dopo aver mutato, appunto, la propria Weltanschauung; al contrario, senza questo profondo cambiamento psicologico le terapie potrebbero essere inefficaci. Il “cambiamento di visione” fa parte dei processi evolutivi che riguardano l’individuo e la società; richiede lavoro su se stessi, sofferenza, e sempre dolore, poiché anche la nostra mente agisce rispettando le leggi inerziali del moto: noi, come gli oggetti che si muovono, tendiamo a mantenere inalterato lo stato di quiete o di moto in cui ci troviamo, finché non sopraggiunga una causa esterna che lo modifichi. Siamo propensi a non cambiare opinione se non per gravi motivi; viviamo invocando certezze ma siamo confortati persino dai dogmi, che non comprendiamo e che accettiamo come misteri solo perché molte altre persone la pensano in quello stesso modo.
Il Meme
Un punto di vista sicuramente originale, frutto di una visione del mondo molto seducente, venne esposto in un noto testo del 1976, Il Gene Egoista, da Richard Dawkins, biologo genetista. Nel saggio si narra di una unità informativa, detta Meme, che rappresenta una singola unità culturale, paragonabile ad un gene che si diffonde nell’ambiente. Parliamo di ambiente in senso culturale: una sorta di palestra nella quale si confrontano migliaia di informazioni, opinioni e idee. Alla fine, secondo dinamiche molto simili a quelle darwiniane, prevarrà un’idea o una concezione filosofica o religiosa. Potremmo anche riferirci a una forma vincente di messaggio pubblicitario o di “fede” relativa ad una appartenenza sportiva. Non ci sono limiti reali alla diffusione dei memi e delle idee. L’esempio del Gene Egoista sembra essere particolarmente attuale in questo complesso periodo in cui una singola sequenza di RNA, che potremmo anche definire impropriamente gene, sta riproducendosi nelle cellule di milioni di persone, urlando la propria potenza biologica. Il Coronavirus entra nelle nostre cellule per riprodursi, replicandosi e diffondendosi in modo pandemico. E’ il suo lavoro e sembra farlo molto bene.
Comprendere la verità
Tornando al mito della Caverna, l’Uomo che ha avuto l’esperienza del Fuori, dell’Oltre, l’Uomo illuminato che conosce la Verità, potrebbe tentare di convincere i propri compagni che giacciono ancora incatenati a ripetere la propria esperienza, ma nel mito platonico questo non avviene e il meme della scoperta perde la propria battaglia contro i memi cristallizzati di coloro che credono in ciò che vedono e che ritengono essere la verità. Platone probabilmente volle raccontare di quanto sia difficile, pericoloso e forse inutile proclamare delle verità a coloro che non sono in grado di comprenderle. Socrate ne fu un tristissimo esempio: quando volle offrire la saggezza agli ateniesi questi gli si rivoltarono contro, condannandolo a morte.