Solstizio d’Inverno 2020

di Luciano Romoli

C’era un tempo in cui l’uomo era consapevole di essere parte della natura, al pari degli alberi, dei fiumi e delle montagne che scorgeva intorno a lui; quindi scoprì il ripetersi delle stagioni, la ciclicità dell’anno, del tempo, dell’universo, scoprì che il Sole era la fonte della vita, si accorse che il Solstizio d’Inverno era il giorno più corto dell’anno, che le tenebre vincevano sulla luce perché il sole giungeva al suo livello più basso sull’orizzonte. Fu così che individuò il Solstizio d’Inverno come un momento di morte. Ma si rese anche conto che da questo punto il sole riprendeva a crescere, continuando fino al Solstizio d’Estate. Qui vide il trionfo del frutto che nasceva laddove al Solstizio d’Inverno il seme era morto, vide la regalità della spiga dorata, gonfia di chicchi che a loro volta, nel prossimo inverno, sarebbero morti, ciascuno per dar vita ad una nuova spiga. E comprese l’idea di Rinascita. Tutta la natura segue lo stesso ciclo, anche l’uomo. Una volta ne aveva piena coscienza, adesso è troppo preso dagli impegni della vita, dal lavoro, dalla fretta che gli impone di far presto a raggiungere il benessere, la notorietà, la posizione sociale. Questa ansia ha accorciato il suo tempo, togliendo spazio alla riflessione sulle cose che contano, ma la memoria di quella consapevolezza è rimasta dentro di lui, rimanendo sopita fino a quando un’idea di morte non interviene a riportarla alla mente, insieme al concetto di rinascita. E pur se quest’anno un virus pernicioso e pandemico ha riproposto la morte sotto il suo aspetto più totalizzante e definitivo, il Solstizio d’Inverno l’ha reinserita nella consueta ciclicità naturale, riproponendo la natura che muore per cominciare a rinascere, e che in tal modo prepara l’apoteosi di vita che si realizzerà al Solstizio d’Estate. Sepolto nella terra in autunno, il seme si è imputridito con l’acqua dell’inverno, dando vita ad una pianta che spunterà all’aria in primavera e darà frutti al calore del sole d’estate. I quattro elementi ne hanno determinato la rinascita. L’essere, nelle sue tre componenti, si trasmuta ad opera dei quattro elementi per poi rinascere in una dimensione superiore. A sottolineare questa rinascita il Cristo scende nella materia, incarnandosi. Nasce da una Vergine, raffigurata anche come la donna che cammina sulle acque e schiaccia la testa del serpente; è colei che sconfigge il Caos primordiale, l’Aqua mercurialis degli alchimisti, la parte più pura della materia, che nasce da questa per tornare ad agire su di essa e dare origine al sale, la materia purificata, il Cristo, appunto. Nella “Tradizione Ermetica” così la definisce Evola: “l’Acqua divina è figurata da una Vergine, che è madre rispetto al rinato, sorto da lei per immacolata concezione”. La Mater, che crea la materia, nasce dalla materia per rigenerarla. Al Solstizio d’Inverno la maternità è quindi segno di rinascita nell’unificazione degli opposti. Rappresenta il punto in cui vita e morte si incontrano: nel buio della terra il seme sta marcendo perché da esso nasca la pianta. Ma proprio su questa nascita si appunta l’attenzione degli uomini: la morte non esiste se da essa origina la vita, secondo una simbologia ormai acquisita che dalla morte iniziatica fa nascere l’uomo nuovo. I concetti apparentemente antitetici di “vita” e di “morte” sono soltanto il frutto del mondo illusorio in cui materialmente ci muoviamo e che ha bisogno, per esistere, di considerare sempre le cose a due a due: il bianco e il nero, il bene e il male, l’amore e l’odio. Una concezione relativa dell’universo e dell’uomo medesimo; una trappola, tuttavia, dalla quale bisogna uscire se non ci si vuol sentire trascinati verso terra da quelle stesse ali che avrebbero dovuto condurci in alto. Ma vita e morte non hanno senso se consideriamo l’uomo nella sua vera essenza: sovradimensionale, trascendente, immanifesta, oltre i limiti imposti dalla materia e del suo dualismo. Per l’essere umano la vita e la morte sono tutto, per l’Essere Assoluto non esistono. Se morire vuol dire rinascere, se per nascere è necessario morire, l’Essere è al di sopra di nascita e morte: è eterno. E poiché la morte è vita e la vita è morte, e le due cose sono un tutto unico, nel Solstizio d’Inverno i massoni festeggiano la rinascita, la vita. Una celebrazione che dovrebbe essere una cerimonia funebre, che sa di umido e di putredine, diventa momento di speranza e di certezze. Da questo punto il sole riprenderà a crescere fino al Solstizio d’Estate, il giorno in cui si ferma più a lungo con gli uomini; tuttavia il momento della massima esaltazione della vita coinciderà con l’inizio della discesa, punto più alto di un’alternanza ciclica ed eterna che porta S. Giovanni d’estate e S. Giovanni d’inverno a susseguirsi di continuo, segnando i due stati della nascita e della morte, che conducono ancora alla rinascita in un livello di vita di ordine superiore, e così di seguito. Giovanni ha origine dal radicale ebraico Jom, che vuol dire giorno. Come Giano, lo Janus col cui nome i romani adoravano il sole, chiamando janua la porta attraverso cui penetrava il giorno. Januarius, Gennaio, è quindi la porta dell’anno: l’inizio. Per questo il Solstizio d’Inverno ripropone il concetto d’iniziazione. Un’iniziazione che torna ogni anno, ciclicamente, in una continua rinascita. Come conferma il doppio volto di Giano, all’indietro per esaminare il ciclo ormai trascorso e in avanti per guardare alla nuova vita. Per comprendere da dove veniamo e scorgere dove andiamo. Resta da scoprire chi siamo, condizione indispensabile per rispondere ai primi due interrogativi. “Conosci te stesso” era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfo; ed è alla conoscenza di se stessi che conduce la via iniziatica che i massoni percorrono, visitando interiora terrae per scoprire l’occultum lapidem, la nostra vera natura, spesso molto diversa da quella che avevamo immaginato. Le certezze umane sono illusorie, e il massone se n’è accorto; se vuole guardare in alto deve liberarsene, cercando di raggiungere certezze assolute. Ecco il vero significato dell’iniziazione. Non basta attraversare per la prima volta una porta perché la rinascita avvenga; essa interviene un po’ per volta, lavorando su sé stessi, distruggendo ogni giorno le proprie convinzioni ed ogni giorno costringendosi alla ricerca di convinzioni nuove, più adatte alla propria nuova condizione e valide fino a quando nuovi dubbi non le metteranno in discussione. Avviene così il mutamento, la continua scoperta della nostra pietra ed insieme il lavoro su di essa, lungo la strada che porta verso l’oro dei filosofi. Ogni giorno, ogni attimo si muore per rinascere ad un livello superiore. Fino a quando, in un irraggiungibile momento, non serviranno più certezze, perché noi stessi saremo la certezza. E’ possibile scorgere ora quella consapevolezza di aver sconfitto la morte che rende i massoni così diversi: è nella presa di coscienza che vita e morte sono una medesima cosa, un valico che definisce diversi stadi di un’esistenza ciclica e ricorrente. Eterna. Come l’uomo, nella sua ricorrenza cosmica. E come Dio. In nome di questa consapevolezza il massone si dà la morte per conquistare la vita, attraverso il processo ciclico delle tornate, degli anni massonici, attraverso le tappe della via iniziatica, che lo porteranno ritualmente a concludere la sua esistenza terrena indossando il grembiule d’apprendista. Poiché, quando tutto è giusto e perfetto, un ciclo concluso è solo l’inizio di un ciclo nuovo.