Sparta e Atene. Il racconto di una guerra.

SERGIO VALZANIA, Sparta e Atene. Il racconto di una guerra. Sellerio Editore Palermo, 2017, pagg. 11-151, € 12,00.

Sparta era una piccola città della Laconia, la regione più fertile del Peloponneso e, forse, di tutta la Grecia, caratterizzata da una economia essenzialmente agricola, fondata sul baratto. Ai primi anni del VI secolo a.C. era infatti ancora del tutto sconosciuto il denaro.
La vita dei maggiorenti trascorreva fra la palestra, i bagni nell’Eurota, le feste e i sissizi, mense comuni riserbate agli uomini che si trovavano a cena tutte le sere dove esercitavano il loro spirito caustico.
Gli Spartani erano, infatti famosi per le battute poi raccolte in più di un volume da Plutarco. Dai sussizi era proibito ritornare a casa avvalendosi di una fiaccola perché si voleva evitare che ci si ubriacasse. Per camminare al buio, è, infatti, necessario essere lucidi.
Società frugale tradizionalmente conservatrice, costituiva un sistema chiuso e, in qualche modo, immobile.
In termini bizzarri, al suo apice, presiedevano in forma congiunta due re. Nelle diecimila unità che componevano la sua popolazione appena duemila godevano della piena cittadinanza.
Dal IV secolo gli antichi storici facevano risalire l’intero sistema sociale, militare e istituzionale spartano (eunomia) al mitico legislatore Licurgo. Anche se è poi più verosimile sostenere che il sistema spartano sia stato il frutto di una lunga evoluzione e che, solo in seguito (secc. VI-V), sia stato attribuito interamente alla volontà di un singolo legislatore, secondo la tendenza comune fra gli antichi di “personalizzare” i processi storici.
E’ interessante notare che, nel sistema licurgheo, i pilastri fondativi fossero tre, costituiti, rispettivamente, dalla forza, bellezza e saggezza.
Dove il ricordo è pertinente, quanto meno, all’estensore di queste note, che, mosso dalla curiosità, si è interrogato sul perché, da parte degli autori del Rituale di Loggia, si sia poi fatto riferimento proprio a queste tre forze, anziché far capo alla costituzione di Atene, che pure aveva praticato e perfino inventato la stessa parola democrazia.
Verosimilmente questa scelta è avvenuta perché, a prescindere dalle vicissitudini che hanno coinvolto la costituzione ateniese, che notoriamente ha conosciuto pure involuzioni e decadimenti, si è voluto previlegiare il rigore tipico del mondo spartano.
Un ulteriore argomento che motiva quella scelta è, se non andiamo errati, possibile però trarre proprio dal dato storico che emerge, con assoluta chiarezza, dalla lettura del volume, che presentiamo, con un’angolatura per certo non disinteressata. Tuttavia, pienamente consapevole proprio perché voluta in quanto funzionale rispetto al quesito che ci siamo posti. Anche se poi la cennata curiosità ci obbliga ad una digressione.
Atene, all’epoca degli avvenimenti considerati, era “una città brutta, fatta di casette ammucchiate le une sulle altre, raccolte intorno alla bellissima costruzione dell’Acropoli” (pag.76) dove si trovavano “i giganteschi edifici votivi fra i quali spiccava il Partenone” (ivi), il grande spiazzo dell’agorà e il mercato (ivi). Vicoli stretti, di sera molto bui e poco frequentati completavano la città, per certo, nonostante la sua struttura modesta, la più vivace delle città greche.
Abitata da cittadini intraprendenti, Atene aveva una vocazione naturale all’espansione commerciale, che andava ad urtare gli interessi non tanto degli spartani, quanto invece dei loro alleati corinzi, beoti, megaresi, tenuti uniti da Sparta dalla sua indubbia capacità direzionale, oltre che dalla propria riconosciuta supremazia strategico-militare.
Sparta non aveva alcun interesse di conquista e di espansione, occupata, com’era, a governare la Laconia e la conquistata Messenia, a differenza, invece, di Atene che, per mantenersi in vita, aveva bisogno di allargarsi. Da qui la insaziabilità di potere e di conquista.
Una faccia importante e significativa dell’espansionismo ateniese era costituita dalla politica navale di conquista e di rafforzamento del controllo su tutto l’Egeo. Atene, più che dalle sue case e mura, era infatti la sua flotta (pag.102). Per questo i marinai erano adusi dire : “Noi siamo Atene” (pag.101).
L’altro, e per certo non meno importante, strumento di questa politica espansionistica era costituito dalla Lega di Delo, una grande organizzazione politica creata dagli ateniesi che permetteva la loro dominazione su tutte le città della Grecia che si affacciavano sull’Egeo, sulle quali potevano così esercitare la forza della propria potenza. Fonte di arricchimento perché, in cambio della protezione, le città facenti parte della organizzazione erano tenute alla corresponsione di un contributo (foros) prospettato come necessario per sostenere la Lega. Nel tempo, però, intascato da Atene, utilizzato per pagare la costruzione del Partenone e per sostenere “la distribuzione di denaro a tutti gli ateniesi, come marinai e come magistrati” (pag.70).
Come ovvio, e il pagamento del foros, e il suo indebito incameramento da parte di Atene, creavano malcontento sfociato talora in autentiche ribellioni, nei confronti delle quali Atene ha, però, reagito sempre con forza per non creare precedenti pericolosi (vds, ad es., pag.50).
La ragione della guerra fra Sparta e Atene viene, dunque, tradizionalmente individuata nella preoccupazione di Sparta nei confronti della forza espansiva degli ateniesi, convinta, infine, che codesto atteggiamento avrebbe, alla lunga, finito per danneggiare in misura irreparabile il proprio sistema di vita.
A volere la guerra, sono, però, soprattutto gli alleati di Sparta, stanchi delle pesanti ingerenze di Atene.
In questo lungo, snervante conflitto dalle alterne vicende, gli spartani si presentano come coloro che si fanno chiamare gli uguali (pag.107), ossia come coloro che sono portatori di un valore antitetico a quella forma gerarchizzata di potere che era, invece, propria e tipica della società ateniese.
Fin dall’inizio della guerra, gli spartani si presentano come i liberatori dal giogo degli ateniesi, ossia, come gli artefici idonei a porre fine al pagamento del foros, il balzello che gli ateniesi avevano esatto per alcuni decenni.
La parola chiave della propaganda spartana è libertà (eleutheria), visto che la vittoria sugli ateniesi avrebbe dovuto significare appunto il ritorno alla libertà di tutte le città oppresse.
Com’è poi avvenuto perché Atene paga la propria definitiva sconfitta con lo scioglimento della Lega e con la conseguente restituita libertà a tutte le città della Grecia non più tenute a pagare il foros ad Atene in cambio di una protezione ormai venuta meno.
All’atto di redigere il Rituale di Loggia, ossia di una piccola polis, è perfino ovvio che i nostri padri costituenti non potessero esimersi dall’ispirarsi ai liberatori spartani e alla loro costituzione fondata sulla forza, bellezza e saggezza, ammirati pure dallo loro lungimirante decisione di lasciare in vita Atene perché la conservazione di Atene coincideva con la conservazione della idea stessa di polis, ossia di una comunità non troppo grande che vive in un sistema di equilibrio politico in qualche modo regolato dalla direzione spartana, che si protrarrà poi per un quarantennio.
Come avevamo anticipato, è, dunque, la storia stessa ad avere esaurito la nostra curiosità, con conseguente obbligo di chiudere la parentesi, sempre, però, più convinti della sua utilità, per dare, finalmente, conto del contenuto del volumetto, quanto meno, nei suoi punti, se non sempre essenziali, tali comunque da avere suscitato il nostro interesse.
Il saggio si presenta di scorrevole lettura, anche perché la sua scrittura è piana e semplice.
Smilzo nella sua mole, è opera ammirevole nel suo contenuto perché riporta il lettore ad un mondo antico, ricco ancor oggi di preziosi insegnamenti e di episodi non del tutto sconosciuti, rivisitati, però, dall’A., con rigore metodologico e una cura dei particolari per certo non comune.
Scorrendo le pagine, possiamo così assistere al simpatico siparietto dell’eccezionalmente loquace generale Brasida – gli spartani sono, infatti, laconici per definizione ! – che, agli abitanti della cittadina di Acanto, dopo di averli informati di essere venuto a liberarli dal giogo ateniese, subito dopo, li apostrofa però ricordando loro che, se non vogliono essere liberati, sarà costretto a distruggerli con la città (pag.51 e s.); alla sfrenata arroganza dell’ambiziosissimo Alcibiade e alla sua singolare storia politico-militare (pag.63 e ss.); alle buone ragioni costrette a cedere alla violenza perpetrata dagli ateniesi in danno dagli abitanti di Meli (pag.69 e ss.); al pianto di Pericle davanti ai giurati per indurli ad assolvere la propria compagna Aspasia sottoposta a processo (pag.80); al giudizio dei sei strateghi che, con la loro clamorosa vittoria di Arginuse hanno riconquistato ad Atene il predominio dell’Egeo, ciò malgrado tratti ugualmente a processo per non avere salvato i quasi cinquecento cittadini ateniesi naufraghi resi tali dalla distruttrice tempesta immediatamente successiva al trionfo riportato nella battaglia navale : giudizio nel quale appassionatamente si spende Socrate nel tentativo di riuscire a salvare Pericle il Giovane (pag.123 e s.); al processo di Socrate “chiaramente politico” (pag.143); alla vittoria di Artaserse e al difficile rientro in patria dei soldati mercenari greci raccontato “nelle celeberrime, splendide pagine dell’Anabasi” (pag.147) e a tanti altri eventi, che ci riportano a rimembranze scolastiche, che ci hanno fatto pure penare nelle difficili traduzioni dei testi greci.
Per dirla in breve, un testo rigorosamente documentato, di piacevole e proficua lettura, un autentico piccolo gioiello che si raccomanda alla attenzione di tutti ex se.
Sia pure non diffusamente, ne abbiamo, comunque, riferito, oltre che doverosamente per il valore intrinseco del testo, pure con sincera gratitudine perché, dalla lettura del saggio, come si è dianzi ricordato, abbiamo pure potuto soddisfare una curiosità, riteniamo, non solo nostra.